Dall'Italia
Primo maggio, Cei: “Per un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale”
Diffuso il messaggio dei vescovi per la festa dei lavoratori

Il messaggio dei vescovi italiani per la festa dei lavoratori. Sottolineate le iniziative concrete e le contraddizioni del mondo del lavoro attuale.
Segni di speranza
“Esistono segni di speranza da alimentare per far nascere e promuovere lavoro degno, ma essi richiedono la nostra partecipazione attiva”. Lo scrivono oggi, nella Solennità di San Giuseppe, i vescovi italiani nel messaggio per la Festa dei lavoratori.
La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei segnala “il riconoscimento nei contratti di lavoro nazionali dell’importanza della formazione permanente e della riqualificazione durante gli anni di lavoro”. È poi necessario valorizzare strumenti contrattuali attenti “alle emergenze sanitarie e familiari”, creando “relazioni virtuose tra datori di lavoro e lavoratori, dove il dialogo, la riconoscenza, i meccanismi di partecipazione alimentano fiducia e cooperazione”.
La Chiesa italiana conferma il suo impegno a contribuire a “un’alleanza sociale per la speranza inclusiva e non ideologica”. Tra le iniziative concrete, il “Progetto Policoro”, che sostiene da trent’anni giovani animatori di comunità.
Il lavoro umano
Nel messaggio viene ricordato come “Il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale”. È stato sottolineato che “la tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli”.
La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei evidenzia alcune contraddizioni del presente: “Se il dato statistico sulla disoccupazione, in forte calo, potrebbe spingere all’ottimismo, sappiamo invece che dietro persone formalmente occupate c’è un lavoro povero”.
I vescovi segnalano inoltre la difficoltà crescente di “conciliare vita di lavoro e vita di relazioni soprattutto nel cosiddetto smart-working, rischiando anche di impoverire i rapporti umani tra i lavoratori e le stesse relazioni familiari”.
Resta poi aperta la questione dello sfruttamento degli immigrati e delle discriminazioni verso le donne, “penalizzate non solo con una minore retribuzione, ma anche con l’assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità”. Centrale infine la sicurezza sul lavoro, senza la quale “non ci sarà piena giustizia”.
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