Professionisti della sanità e Chiesa uniti per un equo accesso alle cure

“La povertà sanitaria non è accettabile se è frutto di una disattenzione che provoca discriminazione e disuguaglianza”. Ha esordito così, ieri pomeriggio, monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, intervenendo in videocollegamento in apertura del convegno sulle povertà sanitarie promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute con le Federazioni e i Consigli nazionali delle professioni sanitarie, in tutto 11, nella cornice del XXV convegno nazionale di pastorale della salute, “Non ho nessuno che mi immerga. Universalità e diritto di accesso alle cure”, in corso fino al 15 maggio a Verona.

Prendersi cura dei fragili, ha chiosato Baturi, non solo “dà senso alla vita, perché si entra in contatto con la propria fragilità”, ma aiuta anche la comunità a crescere “come popolo, solidamente ancorata a valori fondamentali” e rafforza “il patto sociale”.

Un sistema sanitario equo ed accessibile è la base per una società coesa e solidale in cui ogni persona abbia la possibilità di vivere una vita dignitosa e sana”, ha detto in un videomessaggio il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Con questa consapevolezza stiamo riformando il nostro Servizio sanitario attraverso il rafforzamento dell’assistenza territoriale e della sanità di prossimità, con particolare attenzione alle fasce di popolazione più vulnerabili”. Essenziale “consolidare l’integrazione tra salute e welfare”.

Dal ministro gratitudine alla pastorale della salute che “opera instancabilmente per portare conforto e sostegno ai malati, agli emarginati e a tutti coloro che soffrono”, un “esempio da seguire”. Giuseppe Comotti, delegato di Pier Francesco Nocini, rettore dell’Università degli studi di Verona, che ha ospitato l’evento, ha manifestato riconoscenza per la scelta dell’Ateneo ed ha condiviso un ricordo giovanile nella parrocchia sostenuta dai Camilliani dove la frase “‘più cuore in quelle mani’ di san Camillo mi ha accompagnato nel corso della mia vita”.

“Il tema della povertà sanitaria non riguarda solo l’Italia ma anche i 53 Paesi della regione europea dell’Oms”, ha affermato Chris Brown, head Who European Office for Investment for Health and Development. Analizzando le principali criticità, Brown ha richiamato il progressivo invecchiamento della popolazione – “Fra 30 anni in Europa ci saranno due giovani per tre anziani; dobbiamo pensare fin da ora a modelli di cura integrati” – e il crescente disagio mentale fra i giovani. Di “poveri di salute” ha parlato la sociologa Ketty Vaccaro, responsabile Area welfare e salute del Censis. “Il 7,6% degli italiani ha rinunciato nel 2023 a visite specialistiche e ad esami diagnostici, 4,5 milioni di persone”, ha spiegato. Più penalizzati “le persone in marginalità estrema o senza fissa dimora, ma anche i malati cronici che hanno bisogno di prestazioni ripetute nel tempo, e i residenti al sud”.

Alberto Siracusano, coordinatore del Tavolo di lavoro tecnico sulla salute mentale del ministero della Salute, si è soffermato sul fenomeno della loneliness che riguarda ragazzi con molti contatti in rete ma fondamentalmente soli, e ha citato uno studio su studenti delle scuole superiori: il 47% si sente solo. Di qui l’invito a fare attenzione affinché il desiderio di solitudine non si trasformi in psicopatologia, ritiro sociale e uso di sostanze.

Ma allarma anche il Fomo (Fear Of Missing Out), ossia l’ansia legata al timore, “come nel caso della cantante dei Måneskin, di non rimanere in contatto con la rete”.

Per Silvio Brusaferro, professore ordinario di igiene generale ed applicata (Università degli studi di Udine), sono troppe le morti che si potrebbero evitare “attivando i nostri sistemi di prevenzione, lo strumento più potente che abbiamo”. Il relatore si è quindi soffermato sul milione e 300mila minori sotto la soglia della povertà assoluta, che “andrà ad impattare in termini di cattiva salute”, e sulle cattive abitudini alimentari e l’eccessivo uso di farmaci nella fascia 11-15 anni. Essenziale l’alfabetizzazione sanitaria, senza la quale “non c’è adesione a campagne vaccinali e di prevenzione”.

La soluzione non è mettere più soldi nel Ssn, ma costruire un sistema che funzioni. Le differenze regionali non dipendono solo dai soldi”, la precisazione di Americo Cicchetti, direttore generale Programmazione sanitaria del ministero della Salute. “L’Italia non ha mai speso più del 7% del Pil per la sanità, ma occorre equilibrare spesa previdenziale con spesa sanitaria: su una spesa per il welfare di 559 miliardi, il 13% del Pil viene destinato alle pensioni contro il 6,8% che va al Ssn”. “Dobbiamo utilizzare meglio i soldi” ha ribadito citando l’esempio “virtuoso” del Veneto: “spendendo un po’ meno della media nazionale riesce ad ottenere i migliori risultati possibili”.

“L’autonomia – ha concluso – è un enorme opportunità ma quanto più generi autonomia tanto più devi generare capacità di governo centrale. Solo cambiando il modello di governance Stato-Regioni – più condiviso e meno negoziato – potremo fare ciò che dobbiamo fare”.

Secondo il paradigma della sanità pubblica di prossimità si muove l’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà). “Nell’ultimo anno – ha spiegato ad esempio il direttore generale Cristiano Camponi – l’Inmp ha rafforzato la sua presenza a Lampedusa, in collaborazione a supporto delle autorità locali, a partire dall’attivazione della postazione medicalizzata 118, a beneficio di tutta la comunità isolana, e dalla definizione partecipata e condivisa di protocolli operativi di presa in carico e assistenza sanitaria della popolazione migrante”.

Il Manifesto

Dopo avere partecipato alla tavola rotonda conclusiva, i presidenti delle Federazioni e dei Consigli nazionali delle professioni sanitarie – Fnomceo, Fnovi, Fofi, Fnopi, Fnopo, Fno Tsrm e Pstrp, Cnop, Fnob, Fncf, Fnofi, Cnoas – hanno sottoscritto un Manifesto, condiviso dall’Ufficio per la pastorale della salute Cei, con gli impegni che i professionisti sono pronti ad assumersi e le loro richieste alla politica per contrastare povertà sanitarie e disuguaglianze. Tra i primi, promuovere attività, quali enti sussidiari dello Stato, al fine di garantire un’effettiva equità nell’accesso alle cure, e sostenere soluzioni e nuovi modelli di governance per un Ssn più equo, solidale, sostenibile e universale. Allo Stato, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, i firmatari del documento chiedono, fra l’altro, di intensificare la collaborazione con le professioni sanitarie e sociosanitarie; al Governo che siano rispettati i principi costituzionali di uguaglianza, solidarietà, universalismo ed equità alla base del nostro Ssn; al Governo e al Parlamento di parametrare il fabbisogno regionale standard anche in base alle carenze infrastrutturali e alla povertà sociale dei territori; garantire il superamento delle differenze tra i diversi sistemi sanitari regionali; scongiurare il rischio che sia pregiudicato il carattere nazionale del nostro Ssn.  

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