Cesena
“Re Chicchinella”, satira di scena al teatro Bonci
È una piccola gemma di quel grande gioiello che è “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile (1636), capolavoro straordinario della letteratura italiana e della lingua napoletana, il “Re Chicchinella” che Emma Dante porta in scena al “Bonci” da giovedì 24 a domenica 27 ottobre. Un atto unico brevissimo, di appena un’ora, per un’immersione in un mondo fatato e strano.
Come capita ai grandi, Basile con la sua raccolta di racconti riesce a unire l’alto e il basso, il triviale e il sublime: apparentemente i suoi racconti trattano del corpo nel modo più carnale, in realtà attraverso quella corporeità nascono delle riflessioni ironiche e profonde sulla vita umana. È il caso di questo brevissimo racconto, in cui Carlo d’Angiò, al ritorno da una battuta di caccia, ha mal di pancia, e per pulirsi adopera una gallinella che credeva morta, ma che invece morta non era: essa si introduce nella pancia del re, da quel momento chiamato “Chicchinella”, vivendo in simbiosi con lui. Il re non vorrebbe più mangiare, per affamare e uccidere l’ospite indesiderato, ma i suoi familiari e i cortigiani vogliono che si nutra, perché quando mangia la gallinella produce un preziosissimo uovo d’oro.
Come si vede, dietro la maschera della commedia, col re costretto a una spiacevole coabitazione col pennuto, c’è una satira sulla società, sulle corti, sulla famiglia: il tutto raccontato per allusione, e quindi più efficacemente che in modo diretto. La scelta di Emma Dante, giunta al terzo spettacolo ispirato dal “Cunto” di Basile, è di concentrarsi sulla fisicità dei suoi ottimi attori. La scena è estremamente spoglia, pochi oggetti servono a suggerire luoghi e scene. Quello che conta sono i corpi, che si plasmano in scena secondo le necessità dell’autrice (ha scritto il testo, oltre a curare la regia), in un caleidoscopio di trovate, danze, movimenti, fino ad alcuni momenti di straordinaria efficacia: i cortigiani bevono il the, e l’operazione, che dovrebbe essere di grande delicatezza e raffinatezza, si trasforma in un uragano di sputi di bevanda e frammenti di biscotti, a sottolineare la vacuità della vita di corte. La morte del re, che si tramuta in gallina (una vera gallina, protagonista dell’ultima scena) durante la veglia funebre, con un passaggio scenico di grande rapidità, al confine con il mondo dei prestigiatori. Nonostante il tema di fondo sia la morte, e per di più attraverso il dolore del re, parodia dei re feriti della tradizione arturiana, si tratta di uno spettacolo di grande vitalità ed energia, fra i più brillanti degli ultimi anni. Non molto pubblico la sera di giovedì, ma concorde nell’applaudire la compagnia.