Recovery Fund: una sfida da non sottovalutare. Il commento di Bruni, Zamagni, Becchetti e De Palo

Malgrado la crisi e dopo aspre contrattazioni, il Governo ha approvato la proposta del “Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell’ambito del quale verranno utilizzati i fondi provenienti dall’Unione Europea con il programma “Next Generation Eu”, più conosciuto come Recovery Fund.

Un’ingente quantità di risorse mai stanziate nella storia dell’Unione nei confronti di un Paese, 222 miliardi di cui 144,2 per nuovi interventi, che verranno declinati in diversi ambiti. Nello specifico: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.

Per sapere di più su punti di forza e criticità del Piano e per capire quali sfide attendono il Paese nel prossimo periodo il Sir ne ha parlato con alcuni esperti.

La maledizione delle risorse. “Ci sono più livelli di valutazione di questa vicenda”, ha detto l’economista Luigino Bruni. “A un livello più generale e di senso comune non possiamo non essere contenti dell’ingente quantità di fondi che sta arrivando in un momento storico in cui c’è un grande bisogno di liquidità per programmare il futuro . Abbiamo ricevuto una sorta di provvidenza da parte dell’Europa, che ha dimostrato un grande senso di responsabilità. Anche la distribuzione dei fondi è ben fatta e ci può permettere di fare numerosi investimenti per l’avvenire del Paese”. Tuttavia, per Bruni, ci sono anche altri aspetti da sottolineare. In particolare, “quando arrivano molti soldi tutti insieme non è automatico che questo aiuti il benessere generale . In economia questa viene chiamata ‘maledizione delle risorse’”, ovvero il fatto che “una grande disponibilità di denaro porti a una sorta di pigrizia che non permette di sviluppare appieno i mezzi già presenti, mentre noi dovremmo attingere di più alle nostre risorse già esistenti e combattere quello che non funziona, come il gioco d’azzardo, la corruzione, l’evasione fiscale e l’economia delle mafie. Abbiamo il settore del ‘nero’ che è la più grande economia informale d’Europa. Sono malattie locali che vanno combattute assolutamente, altrimenti tra qualche anno ci troveremo impoveriti da questo grande fondo che sta arrivando”.

Qui “sta il paradosso del quale non si parla mai, ma che non deve essere sottovalutato. Nella storia dell’Europa sappiamo che i Paesi si sono risollevati quando hanno dapprima saputo attingere alle proprie risorse e in un secondo momento a quelle che venivano da fuori. Non possiamo illuderci che senza combattere queste nostre malattie e senza attivare le nostre risorse italiane riusciremmo a salvarci solo con aiuti esterni”.

Correggere la vulnerabilità anziché la precarietà. “L’approvazione del Piano è un avanzamento ed è molto migliorato rispetto alla versione originale che presentava alcune lacune. Si potrebbe fare ancora meglio, ma comunque in linea di massima va bene. Tuttavia ci sono alcune annotazioni che si possono fare”. È quanto dice Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali. “La prima annotazione è sul piano del metodo – ha spiegato -. Era necessario far partire nei mesi scorsi un forum deliberativo di consultazioni per sentire il parere e il consiglio di tutti quei soggetti esperti delle questioni in oggetto del Piano. Naturalmente è sempre il Governo ad avere l’ultima parola, ma qui non è stata sentita la penultima, che poteva dare un grosso contributo”. La seconda annotazione di Zamagni verte sul piano del contenuto.

“Un miglioramento c’è sicuramente stato – ha rimarcato – ma bisogna insistere di più e vigilare perché nella implementazione dei progetti che andranno a godere dei fondi europei non si cada nel solito vizio italico di finanziare iniziative che tendono a correggere e migliorare la precarietà anziché la vulnerabilità.

Le gente spesso confonde queste due cose. Noi dobbiamo mirare alle nostre vulnerabilità strutturali, perché solo correggendo quelle possiamo aumentare la resilienza del nostro sistema. Se invece continuiamo a preoccuparci troppo delle precarietà, con i vari bonus o voucher, rischiamo di ottenere risultati, anche interessanti, ma destinati a durare nel breve termine”.

Un “calcio di rigore” da non sbagliare. Anche per l’economista Leonardo Becchetti “il Piano è una grandissima occasione per l’Italia. Ci sono moltissime cose dentro ed è molto articolato. La vera sfida del Paese, però, è realizzarlo. Non è per niente facile e i tempi sono stretti. Ci sono tutte le possibilità per costruire un’Italia migliore – ha affermato Becchetti -. Oggi dobbiamo impegnarci nel rendere operativi e realizzare quei principi e quegli obiettivi che sono scritti nel Piano”. Tuttavia, “un punto assolutamente da migliorare è la transizione ecologica. Uno dei principali problemi dell’Italia è quello della qualità dell’aria e siamo stati più volte sanzionati dall’Unione europea per questo. La scarsa qualità dell’aria produce centinaia di morti al giorno e ha avuto un impatto importante anche sugli effetti del Covid-19, in particolare nelle regioni del Nord Italia. Quindi è importante che il piano ne tenga conto e utilizzi le misure necessarie per sostituire tutti i dispositivi che producono polveri inquinanti. Abbiamo davanti a noi un ‘calcio di rigore’ che non possiamo sbagliare”.

Urgente far ripartire la natalità. “È un piano che si chiama ‘Next Generation’, quindi ci si aspettava qualcosa di più per le generazioni future. Non ci ricapiterà mai più di utilizzare questa grande quantità di fondi per rinnovare l’Italia. La sensazione è che tutte queste sollecitazioni non riescano a soddisfare le esigenze del Paese reale”. A dirlo è Gianluigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, che ha richiamato l’urgenza di “un piano per far ripartire la natalità. Non ha senso investire così tanti miliardi per ricostruire le case o per valorizzare le infrastrutture se tra dieci anni quelle stesse case varranno molto meno perché non ci sono persone per abitarle. È inutile fare un giusto, e sottolineo giusto, piano per gli asili nido se poi la natalità non riparte. Questi asili sono destinati a diventare spazi per le Rsa e a dirlo non sono io, ma i numeri. A mio modo di vedere mi sembra molto un insieme di proposte che erano chiuse nei cassetti piuttosto che un progetto di futuro. Quindi c’è grande preoccupazione, ma comunque si parla solo di una bozza e per questo aspettiamo di vedere le diverse declinazioni del Piano”.