Riconosciuto come “Giusto tra le nazioni” il monaco del Monte che salvò due famiglie ebree

Un gesto disinteressato, a rischio della propria vita, celebrato a distanza di quasi 80 anni. Questa mattina, nell’aula magna di Psicologia a Cesena, l’ambasciata di Israele ha consegnato alla famiglia Contestabile il riconoscimento di “Giusto fra le nazioni” per dom Odo.

Si tratta del monaco dell’abbazia benedettina del Monte che, nel dicembre ’43, compì due viaggi al confine con la Svizzera per mettere in salvo le famiglie ebree Lehrer e Mondolfo, sottraendole alla cattura dei nazifascisti e alla morte (cfr. Corriere Cesenate numero 39 del 27 ottobre 2022).

«Perché rischiare tanto per sei persone sconosciute?» si è chiesto il vescovo di Cesena-Sarsina Douglas Regattieri intervenendo alla cerimonia. «Nel Vangelo si legge che non c’è amore più grande di chi si sacrifica per gli amici. Ma quelli messi in salvo non erano amici, bensì sconosciuti. Dom Odo ha messo la dignità dell’uomo davanti a tutto, come procurarsi documenti falsi e andare contro alle leggi. Perché come disse Gesù: ogni volta che avrete fatto a uno di questi piccoli lo avrete fatto a me».

Monsignor Regattieri ha ricordato anche altri giusti della nostra regione, tra cui il giornalista dell’Avvenire d’Italia Odoardo Focherini, che mise in salvo un centinaio di ebrei, prima di venire catturato, deportato nei Lager e ucciso.

Sul ribellarsi alle ingiustizie si è soffermato anche Fortunato Arbib, presidente della Comunità ebraica di Ferrara e delle Romagne: «La macchina della persecuzione era ben organizzata dai carnefici. Eppure, nel buio della notte, ci furono delle scintille. I Giusti si sono accorti di essere governati da leggi ingiuste, a differenza dei loro concittadini che seguivano regole disumane».

Sulla stessa linea il sindaco di Cesena Enzo Lattuca: «Don Odo è per noi la dimostrazione che in quegli anni in tanti non rimasero in silenzio, scegliendo di agire con altruismo e coraggio».

Smadar Shapira, rappresentante agli affari pubblici dell’ambasciata di Israele in Italia, ha sottolineato come la Shoah tocchi ancora oggi tutte le famiglie israeliane: «È parte indimenticabile e inscindibile della nostra identità». La rappresentante diplomatica ha spiegato perché si volle creare il memoriale dello Yad Vashem, per ricordare le vittime e celebrare i Giusti (700 dei quali italiani). «Proprio oggi, 28 ottobre, ricorre un secolo dalla marcia su Roma. Cento anni dopo ci troviamo qui a ricordare chi ha anteposto la vita alla morte».

Decisiva, per il riconoscimento dello status di Giusto, è stata l’opera meticolosa e rigorosa di Filippo Panzavolta, ricercatore e docente al liceo Righi di Cesena. È stato lui infatti a trovare i discendenti della famiglia Lehrer, convincendoli a mettere per iscritto le testimonianze da presentare allo Yad Vashem.

«Venni contattato da Panzavolta nel 2011 – ha spiegato Marco Grego, figlio di Erica Lehrer che nel ’43 aveva appena sette anni – e grande fu il mio stupore nel sentirgli esporre una storia che avevamo sempre sentito da mia madre. Lei però ignorava il nome del suo salvatore».

Grego, che partecipò ad un convegno sul tema a Cesena nel 2012, convinse sua zia Beatrice (sorella maggiore di Erica) a testimoniare e questo ha sbloccato la pratica di dom Odo, bloccata da decenni in Israele. Il riconoscimento è arrivato poi nel settembre 2020, con la cerimonia rimandata a causa della pandemia in atto.

Parole di ringraziamento sono state spese da Grego anche per il dottor Elio Bisulli che, con la complicità del dottor Achille Franchini, nascose le famiglie ebree nella clinica San Lorenzino, così come per le suore della Sacra famiglia, che nascosero le due bambine dei Lehrer.

Toccante la testimonianza di Giulia Grego, nipote di Erica Lehrer, che si è rivolta alle centinaia di studenti delle scuole cesenati presenti: «Io sono qui perché esisto. Pensate se le leggi razziali ci fossero al giorno d’oggi. Vi prendono dall’aula, vi portano in presidenza e dicono che non potete seguire più le lezioni. Solo perché ebrei. Allora si trovarono in quartieri murati, senza diritti. Questo uomo prese la decisione cosciente di salvare delle persone sconosciute. Sono qui per ringraziarlo».

Per la famiglia Contestabile, venuta dall’Abruzzo, ha parlato Lea, nipote di dom Odo. Orgogliosa e onorata del riconoscimento, ha ricordato come la famiglia abbia espresso anche una madre superiora dell’istituto Lega (suor Antonina Contestabile) e altre religiose: «Mio zio era un esempio di umanità e generosità. Aveva donato il manoscritto con la sua “più grande avventura” a tutti i fratelli. Ci teneva, con questa testimonianza, a mettere in guardia da un razzismo insensato e spietato. Don Odo poteva dire no alla richiesta di aiuto arrivata da Elio Bisulli… Disse sì, invece. Ognuno di noi è chiamato a delle scelte».

In chiusura, subito prima della consegna della medaglia e della pergamena alla famiglia Contestabile, sono risuonate nell’aula magna le parole del rabbino capo di Ferrara Luciano Caro, sopravvissuto alla Shoah, che ha recitato il Salmo 1 pensando a Dom Odo Contestabile: «Beato l’uomo che non ha proceduto secondo il consiglio dei malvagi e non si è soffermato nella banda dei malfattori. Sarà come un albero piantato sulla riva del fiume, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai».

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Di seguito, la fotogallery della cerimonia a cura di Sandra e Urbano (Cesena)

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