Appartenenza
Appartenenza La responsabilità, cui si fa continuo riferimento, senza una chiara consapevolezza di sé e di appartenenza a una storia più ampia rischia di smarrirsi sulla strada delle buone intenzioni
È l’estate del Covid, inutile negarlo. I quotidiani bollettini sull’aggiornamento dei contagiati, non degli ammalati (i più sono asintomatici e non necessitano di cure), scandiscono le giornate di chi ha tentato di riprendersi dalla brutta avventura della pandemia. Da questa emergenza, è evidente, non siamo ancora usciti. Forse, comunque, varrebbe la pena relativizzare i fatti e cercare di convivere con questo virus come si convive con tanti altri, in modo più accentuato in zone del mondo più povere.
Gli appelli alla responsabilità di ogni cittadino si sono sprecati in questi mesi. Si può dire che noi italiani abbiamo compreso molto bene il messaggio del lockdown. Il restiamo a casa è stato rispettato e i risultati positivi sono sotto gli occhi di tutti. Anzi, ancora ne godiamo i frutti, mentre altri, anche in Europa, devono curarsi le ferite che in un certo senso si sono procurati con comportamenti meno rigorosi.
Ora ciascuno di noi è chiamato a svolgere il proprio compito in maniera diversa, tentando di tornare a una normalità di certo diversa, ma anche possibile. Dividersi tra giovani, adulti e anziani non giova a nessuno. Rischiamo solo una guerra tra poveri. Come anche non ha senso cercare di trovare ancora una categoria di untori, quando per certi mesi anche noi siamo stati assimilati a essi e non è stato il massimo per nessun italiano in giro per il mondo.
Ma è anche l’estate, arroventata e senza acqua specie in Romagna, in cui emerge con forza il messaggio che proviene dal Meeting di Rimini “special edition” che si è tenuto nonostante il Covid. Già averlo organizzato e realizzato rappresenta una sfida vinta. In più, come di consueto, ha avuto una eco non da poco, anche grazie agli incontri tenuti online e rimbalzati in tante città in Italia e nel mondo, Cesena compresa, con eventi locali.
Infine i due titoli del Meeting, quello 2020 e quello del prossimo anno dicono di un approccio alla realtà che può essere di stimolo per ciascuno di noi. “Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime” invita a porsi nell’atteggiamento di chi scruta ciò che accade attorno a sé e si stupisce per il dono che si rinnova ogni giorno. E poi “Il coraggio di dire io”, che a mio avviso fa il paio con il titolo (penso sia il più azzeccato di sempre) dell’edizione 2008 “O protagonisti o nessuno”, che richiama la responsabilità personale. Quella responsabilità cui si fa continuo riferimento, ma che senza una chiara consapevolezza di sé e di appartenenza a una storia più ampia rischia di smarrirsi sulla strada delle buone intenzioni.