Comunicazione come missione

Comunicazione come missione Non un giornalismo che usa i vocaboli per ammaliare, per interpretare a proprio piacimento la realtà che va comunicata senza edulcorarla con aggettivi o avverbi. Una tentazione che si insinua anche nella Chiesa. Va preferita, invece, una comunicazione di sostantivi, di valore, fatta da testimoni, da martiri, da chi dà la propria vita e mette tutto se stesso in ciò che fa.

Cronisti della storia. Così ha definito i giornalisti papa Francesco nell’udienza concessa lunedì scorso ai membri dell’Ucsi in occasione del 60esimo di fondazione dell’Unione stampa cattolica italiana. Nella stessa giornata Bergoglio ha incontrato i membri del Dicastero per la Comunicazione. Un’altra occasione per affrontare il tema dei mass media e le responsabilità di chi vi opera.

Distinguere il bene dal male e le scelte umane da quelle disumane. Questo è un altro dei passaggi chiave utilizzati dal Pontefice per richiamare quanti ogni giorno hanno a che fare con la carta stampata, con la televisione, la radio, il web, i social. Attenzione alle parole vuote. Dare spazio invece a quelle vere e, in particolare, alle buone notizie. Non alle favole, ha ammonito Francesco che non ama di certo il buonismo, ma le storie di vita delle quali sono costituite le nostre comunità. Vicende reali, di persone con nomi e cognomi, in modo da saper leggere i segni dei tempi.

Non un giornalismo che usa i vocaboli per ammaliare, per interpretare a proprio piacimento la realtà che va comunicata senza edulcorarla con aggettivi o avverbi. Una tentazione che si insinua anche nella Chiesa. Va preferita, invece, una comunicazione di sostantivi, di valore, fatta da testimoni, da martiri, da chi dà la propria vita e mette tutto se stesso in ciò che fa.

“Passare dalla cultura dell’aggettivo – ha suggerito il Papa – alla teologia del sostantivo”. “Il vero, il giusto, il bello, il buono”, questo deve essere l’oggetto del comunicare, ha aggiunto il Pontefice al prefetto per la Comunicazione Paolo Ruffini e ai suoi. “Si comunica con l’anima e con il corpo, con la mente, con il cuore, con le mani. Con tutto”. E poi ancora una raccomandazione: no alla pubblicità, no al proselitismo. Sì, invece, alla testimonianza.

Tante, come sempre, le sollecitazioni del Papa a chi si occupa di comunicazione. Come accade da quell’incontro del 16 marzo 2013, prima ancora del suo insediamento come successore di Pietro. Allora Bergoglio raccomandò il vero, il buono e il bello. Ora ha aggiunto anche il giusto, con un pensiero, immaginiamo, alle tante storture di questo mondo a cui spesso contribuisce anche un’informazione non sempre fedele e attenta alla verità dei fatti e ai protagonisti.

“Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dare voce a chi non ce l’ha”, un’altra perla di matrice bergogliana uscita dagli incontri di lunedì. Quello che qui al Corriere Cesenate tentiamo di fare ogni giorno e non da un giorno solo, ma da oltre un secolo, pur con i limitati mezzi a nostra disposizione.

“Per la Chiesa la comunicazione è una missione – si legge nel messaggio consegnato al Dicastero per la comunicazione -. Nessun investimento è troppo alto per diffondere la Parola di Dio”. Con queste premesse, come ogni settimana noi ci accingiamo a confezionare questo giornale, come ogni giorno siamo presenti online.

“Ogni talento deve essere ben speso e fatto fruttare – ha indicato ancora Francesco – perché su questo si misura la credibilità di ciò che diciamo. E infine, “per rimanere fedeli al dono ricevuto, bisogna avere il coraggio di cambiare, mai sentirsi arrivati, né scoraggiarsi”. Un invito, una consegna, una raccomandazione. Di certo, per noi una responsabilità in più.