Dall’altra parte
Dall’altra parte Non è bello sentirsi dare dell’untore… Sì, perché adesso gli untori siamo noi
Una bella confessione all’inizio della Quaresima ci sta. E pure pubblica sarebbe da fare. Per tutti. Diciamolo e scriviamolo con schiettezza, senza mezze misure: non è per nulla bello trovarsi dall’altra parte della barricata. Noi. Sì, noi. Quelli che, se ci piace qualcosa, andiamo a comprarlo. Quelli che, se desiderano fare un viaggio, lo prenotano anche all’ultimo. Quelli che possono andar per mostre e per ristoranti come e quando vogliono, carte di credito sempre pronte, auto e aerei a disposizione quasi di chiunque.
Non è per nulla semplice vivere di qua dal muro, per usare un’espressione utilizzata dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, nel suo editoriale di sabato scorso. Noi che siamo abituati e siamo cresciuti con il potere dalla nostra parte. Noi che siamo nella fetta giusta del mondo. Quelli più belli e più bravi di tutti, qua in occidente, in Europa e nell’area d’Italia che più conta, quella più avanzata, quella con la migliore sanità e il tenore di vita più alto. Noi, più legati alla Baviera che al Mezzogiorno.
Non è bello sentirsi dire che in Israele hanno chiuso gli aeroporti agli italiani. Che negli Usa diverse compagnie aeree hanno cancellati i voli verso il nostro Paese. Che alcuni nostri connazionali, senza altro motivo se non quello del passaporto, vengono messi in quarantena al loro ritorno a casa, all’estero, dopo un viaggio in Lombardia, in Emilia-Romagna o in Veneto. Non è bello sapere che non lasciano sbarcare i nostri connazionali durante le crociere in giro per il mondo, nei Caraibi dove da anni ci andiamo divertire, a migliaia, in ferie durante tutti i mesi dell’anno. Non è bello sentirsi dare dell’untore… Sì, perché adesso gli untori siamo noi.
Gli altri ci guardano con sospetto, se sanno dove abitiamo e da dove veniamo. Emilia Romagna? No, grazie. Non è piacevole, ammettiamolo. E forse ora abbiamo capito ciò che si prova a stare dalla parte di chi viene additato come diverso. Per paura del contagio gli altri, quelli giusti ora, ci indicano come le persone da evitare, da non incontrare, da cui stare alla larga.
Il nostro può diventare un esercizio di sano realismo. Anche di purificazione, per ciascuno di noi. Ora che siamo noi i cinesi, quelli dei quali, sempre noi, con le nostre paure generalizzate, abbiamo disertato i locali e abbiamo fatto abbassare le saracinesche. Ora noi siamo con loro. Capiremo stavolta? Ci renderemo conto di quanto a volte siamo piccoli, meschini, egoisti?
Adesso abbiamo il dovere (e lo desideriamo pure) di ripartire, con umiltà. Più modesti e, speriamo, anche più fratelli. Insieme, ancora una volta uniti, come dopo il passaggio di un uragano. Per rialzarci tutti. Da oggi. Da subito.