Democrazia fragile

Democrazia fragile La verità non esiste più. Esistono le versioni, quelle ufficiali, quelle di parte e quelle verosimili cui si aggiungono i vari complottismi. Impossibile tornare a una dialettica che faccia della politica il luogo di confronto tra opinioni diverse, per la ricerca del bene comune

Occidente sull’orlo di una crisi di nervi. Dopo l’attentato a Donald Trump di sabato scorso (cfr pag. 9 edizione cartacea) il mondo si sente più vulnerabile. Sarebbe bastato poco, un centimetro o forse meno, e ora saremmo qui a descrivere un’altra realtà. La campagna elettorale in vista delle presidenziali americane sta facendo molti feriti. Le democrazie occidentali appaiono in affanno.

L’ondata di populismo non ha ancora esaurito i suoi effetti. La guerra in corso da oltre due anni nel cuore dell’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha mostrato quanto fragile sia l’equilibrio sul quale si gioca la nostra convivenza continentale. Dalle nostre latitudini abbiamo sempre guardato agli Usa come alla patria della democrazia. Un Paese potente e forte, capace di alternare maggioranze senza che si scalfisse e si mettesse mai in discussione l’impianto democratico. Dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 qualcosa è cambiato. Anche la delegittimazione dell’elezione di Joe Biden ha avuto contorni inquietanti.

In seguito lo scontro si è allargato ancor di più. La politica assume ogni giorno toni violenti, con un gergo che mai avevamo ascoltato. Gli avversari sono diventati nemici e la battaglia politica si polarizza non solo in schieramenti, ma su vere e proprie barricate.

Andrea Lavazza, su Avvenire di martedì scorso, parla di virus del sospetto. Dietro a ogni fatto, a ogni nuovo avvenimento si pensa sempre si possa celare altro. La verità non esiste più. Esistono le versioni, quelle ufficiali, quelle di parte e quelle verosimili cui si aggiungono i vari complottismi. Impossibile tornare a una dialettica che faccia della politica il luogo di confronto tra opinioni diverse, per la ricerca del bene comune.

«La violenza chiama altra violenza», sostiene Paola Binetti sempre su Avvenire del 16 luglio. I fatti di questi ultimi tempi lo mostrano con chiarezza. Invece della moderazione, che invoca l’opinionista, si assiste a una scomunica reciproca e continua che sacrifica la virtù della mediazione sull’altare dell’affermazione degli amici della propria parte, a qualunque costo.

Non si vede via di uscita. Di speranza nessuno parla, né Biden né Trump.

Invece ci vorrebbe un po’ di speranza, a cominciare dai toni. Ne ha bisogno l’America per affrontare le elezioni in un clima meno avvelenato. E ne ha bisogno l’Occidente, che si è sempre ispirato al modello Usa, come faro di democrazia. Dimostrerà di esserlo anche in questi tempi inquieti?