I colori della carità
I colori della carità Il bene non ha solo un colore e una forma. Lo vediamo nelle nostre parrocchie e nelle innumerevoli forme di servizio agli altri che sono nate dalla pastorale ordinaria. Non oggi. Da centinaia d’anni
Il bene non ha solo un colore e una forma. Lo vediamo nelle nostre parrocchie e nelle innumerevoli forme di servizio agli altri che sono nate dalla pastorale ordinaria. Non oggi. Da centinaia d’anni.
Quando si parla di carità, il pensiero va spesso all’elemosina. Immagine riduttiva, per non dire opposta al senso di questa parola. Perché dare due monete a chi è seduto per strada non cambia nessuno: né chi le riceve né chi le dà. La carità, invece, può rivoluzionare lo sguardo. Se la logica non è, appunto, quella della “mancia”, di chi dà il suo superfluo per sentirsi ancor più sovrabbondante di sé.
La carità lo mette in moto lo sguardo. Paziente, benigna, tutto copre, spera, crede e sopporta. La carità, come dice san Paolo, è il motore del bene perché è una forza creativa. Per questo non ha una forma, ma mille colori. E ognuno può trovare il suo, quello che più si adatta al suo stile, agli occhi che ha incontrato da amare.
Certo, c’è la distribuzione dei pacchi viveri nelle Caritas parrocchiali. C’è chi si mette a preparare pasti nelle tante mense delle Caritas e delle parrocchie delle nostre Diocesi, chi rifornisce gli scaffali degli empori della solidarietà. Sostegni e aiuti concreti, che permettono a chi è in difficoltà di avere un po’ di sicurezza, almeno alimentare, e a tanti altri di amare, con i fatti.
Ma sempre più nelle nostre Caritas è l’ascolto il bisogno più urgente.
Carità, in questo caso, fa rima con il verbo stare più che con il fare. Come succede per i marittimi, i lavoratori in arrivo al porto di Ravenna da ogni parte del mondo e sono accolti nell’associazione Stella Maris. «Qui non si tratta di dare, ma di spendere tempo, stare accanto», spiega il direttore, padre Vincenzo Tomaiuoli. E così si può fare carità anche dalle colonne di un giornale, nel solco della lunga tradizione dei settimanali diocesani, che ogni giorno cerchiamo di mettere in pagina: dare voce a chi non ha voce, fare conoscere le loro storie (cfr. pag. 15 edizione cartacea). Questo cambia lo sguardo di chi legge e spesso anche di chi scrive. La carità può stare in una parola, in uno sguardo, ma anche nel silenzio. Come quello di Gesù davanti alla peccatrice. In un abbraccio e in una carezza che restituiscono speranza.
Nell’uomo che si fa compagno di viaggio di un fratello. Un passo in più, che siamo chiamati a fare insieme. Ognuno con il suo passo. E il suo colore.