Naufraga l’umanità

Naufraga l’umanità Ennesime tragedie legate a viaggi compiuti nella speranza di poter raggiungere i nostri Paesi europei visti come il nuovo Eldorado. Quello che più fa male, in questo inizio d’estate, è notare come queste notizie rischino di passare come ordinarie

L’indifferenza è una brutta bestia. E l’abitudine pure. Se parliamo di persone e di morti, sono atteggiamenti inaccettabili. Il rischio è dietro l’angolo ed è presente per tutti. Mi riferisco ai migranti deceduti in mare, per naufragi, per abbandono, per inerzia di chi poteva gettare un ponte e si è girato dall’altra parte.

Le cronache di lunedì e martedì scorsi gettano molte ombre sulle responsabilità di chi si occupa di migranti. Nei nostri mari si sono consumate altre due tragedie (cfr pag. 10 edizione cartacea). Una al largo di Roccella Jonica. In 80 erano partiti dalla Turchia, riferisce Avvenire a pagina 5 martedì 18 giugno: cittadini iraniani, afghani e curdi iracheni, «per raggiungere l’Europa e iniziare una vita nuova». Tra morti e dispersi sono almeno 66 le vittime. Solo in 11 si sono salvati. Altri dieci corpi sono stati recuperati nel Mediterraneo centrale su un’imbarcazione ormai piena d’acqua. In 51 sono stati tratti in salvo e presi in cura dai soccorritori.

Ennesime tragedie legate a viaggi compiuti nella speranza di poter raggiungere i nostri Paesi europei visti come il nuovo Eldorado. Quello che più fa male, in questo inizio d’estate, è notare come queste notizie rischino di passare come ordinarie. Non si leva più un moto di indignazione. Non si levano proteste. Non si levano richieste di umanità. È come se questo tributo di sangue, un po’ come per i morti sul lavoro, fosse da pagare.

Come se facesse parte del gioco. Un costo, in vite umane, per mantenere questo stato di cose: il benessere da noi, in Occidente, e gli altri che si arrangiassero con i loro problemi, le loro paure, le loro guerre e le loro povertà. Fa male scrivere certe affermazioni, ma «abituarsi a queste tragedie», come detto anche dal vescovo di Locri-Gerace, monsignor Franco Oliva, è un rischio altissimo.

«La nostra umanità – ha aggiunto il vescovo al quotidiano cattolico – non può, non deve naufragare». La dignità di uomini, donne, vecchi e bambini viene di continuo calpestata, come accade ogni volta in questi viaggi impossibili intrapresi dall’interno dell’Africa e dai Paesi asiatici che guardano verso occidente. Come antidoto alla guerra, suggerisce il presule, occorre «promuovere la cultura dell’accoglienza, espressione di un’umanità che non vuole finire».

In un continente sempre più vecchio, arroccato a difesa di se stesso e dei propri privilegi, pare una strada sempre più in salita. Tocca a noi, qui adesso in Italia, incarnare le parole del vangelo di Matteo «ero straniero e mi avete accolto». Oggi, non domani.