Noi non ci stiamo
Noi non ci stiamo Siamo arrivati a questo punto? Fino a doverci sbarazzare di chi lavora per noi per pochi spiccioli e poi diventa un inciampo se si fa male? E lo si lascia morire?
Siamo tutti Satnam. O, almeno, spereremmo che molti vogliano esserlo. Satnam Singh, 31 anni, è stato abbandonato con un braccio amputato. Dopo 48 ore di agonia è morto. Era un lavoratore in nero, clandestino, precario che più precario non si può, fino all’oblio dell’abbandono, colpevole di essersi fatto male, da solo. Uno che lavorava nelle campagne di Latina dove nessuno, o quasi, ormai vuole più andare. Allora arrivano questi stranieri clandestini e lavorano per noi, per pochissimi euro al giorno. Abitano stamberghe senza finestre, come ha documentato il Tg1 di sabato scorso.
Non è l’unico episodio di gente che muore abbandonata, quello di Satnam, hanno detto altri suoi connazionali ai microfoni della Rai. E lo ha ribadito il vescovo, monsignor Mariano Crociata, all’agenzia Sir. «Purtroppo, non è l’unico caso né il primo – ha detto il presule -. È un caso che si verifica da tanto tempo nelle campagne e non solo. È un fatto tragico, dolorosissimo per ogni coscienza sensibile. Ed è l’esito drammatico dell’assenza di sensibilità umana e di consapevolezza della dignità di essere umano».
Siamo arrivati a questo punto? Fino a doverci sbarazzare di chi lavora per noi per pochi spiccioli e poi diventa un inciampo se si fa male? E lo si lascia morire? O peggio: lo si abbandona al suo destino, tanto chi se ne importa di persone così, mica sono persone. Sono di un’altra categoria, si pensa. Terribile da scrivere e da immaginare.
Noi cosa vogliamo fare? Vogliamo indignarci, come ha fatto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, o vogliamo nasconderci dietro ad alibi che non tengono neppure davanti a un bambino? Che vogliamo fare del nostro Paese? O della nostra nazione, come la chiama la presidente del Consiglio. Vogliamo dirci ancora civili?
Si amplia il divario delle diseguaglianze. Non solo si amplifica, ma si fa enorme, a tratti incolmabile. E diventa sempre più evidente. In un mondo grande ormai come un paese grazie alle tecnologie che tutti possediamo, i divari si fanno vastissimi. Cresce un benessere diffuso, ma aumentano le distanze fra chi è ricco e lo è sempre di più e tra chi ha meno mezzi e vede allontanarsi una giustizia sociale cui abbiamo ambito per diversi decenni, dal dopoguerra in qua.
Siamo chiamati a fare sentire la nostra voce. Non possiamo tacere, direbbe don Oreste Benzi. Noi non ci stiamo a questa assuefazione dello status quo. E ci muoviamo. Intanto lo mettiamo nero su bianco: così noi non ci stiamo.