Dietro dieci porte blindate
Dietro dieci porte blindate Giornalisti in carcere a confronto con i detenuti.
“Per tre ore mi sono sentito fuori”. Lo dice Toni, 53 anni, che nel complesso ha più di 20 anni di detenzione sulle spalle. Lo incontro nel carcere di massima sicurezza di Ascoli Piceno dove per venerdì 19 ottobre è in calendario un incontro formativo per giornalisti. Non mi lascio sfuggire l’occasione e così decido di partecipare, assieme ai 50 colleghi che gremiscono la piccola sala riunioni della casa circondariale. Tra questi anche il direttore del quotidiano Avvenire, Marco Tarquinio, e il caporedattore di InBlu Radio, Andrea Domaschio, moderati da Giovanni Tridente della Pontificia università della Santa Croce.
La mattina, proposta come quinta tappa del “Meeting nazionale giornalisti cattolici e non”, non delude le attese, soprattutto quando prendono la parola i tre detenuti che la direttrice, Lucia Feliciantonio, ha pensato di fare intervenire.
“Ora sono qua da protagonista – dice Toni in avvio di testimonianza -. Prima ero bellicoso, ma ora sono cresciuto. Vado a scuola per riacquistare la mia dignità. Frequento anche un piccolo laboratorio di teatro e questo mi ha destabilizzato. È un mio modo per chiedere scusa a mio padre. Lui era analfabeta e io sono uno dei suoi sette figli. Il futuro ora per me è una scommessa. La mia è una vita incompiuta”.
Gli fa eco Antonio, di origini pugliesi, da sei anni in carcere. “Ho sempre ammesso le mie colpe e non è la prima volta che entro qua. Non me la sono mai presa con la società. Ho due figli, uno di 40 anni, l’altro di 30. Facevo l’ambulante. Ora ho la possibilità di lavorare e di poter guadagnare anche qualcosa”.
“È la mia 18esima detenzione – dice Giampiero, 50 anni -. Sono sempre stato irrequieto e trasgressivo. Oggi ho fatto pace con me stesso. Riesco anche a occuparmi degli altri. Non so cosa mi sia successo. Mi basta un sorriso, quello che ti ripaga di tutto. Da boss a Oss (operatore socio sanitario, ndr) posso dire ora, per il volontariato che svolgo”.
“Il pregiudizio si vince conoscendo – aggiunge la direttrice Feliciantonio -. Il carcere è luogo di periferia e di confine. Tra giustizialisti e permissivisti, vorremmo collocarci tra quanti hanno a cuore un umanesimo che mette al centro la persona. La pena andrebbe interpretata come progetto di vita e il lavoro come tempo detentivo costruttivo, contro l’ozio in cella e l’abbruttimento davanti alla tv. Il carcere è una risorsa e i detenuti pure. Non sono rifiuti della società”.
Il vescovo di Ascoli Giovanni D’Ercole ricorda come sia stata una mattina speciale, senza cellulari, con i presenti impegnati nell’ascolto reciproco e nell’attenzione ai dettagli. “Ciò che si vive da dentro non si può capire da fuori”, aggiunge con la forza di chi viene spesso qui, dietro queste sbarre, mentre il direttore Tarquinio ricorda come le parole possano essere usate contro le persone, per ferire e colpire.
Una grande responsabilità per i giornalisti. Al termine scattano i saluti, gli abbracci, lo scambio di piccole esperienze di vita, il desiderio di una maggiore conoscenza. Parte anche una promessa di un nuovo incontro, magari per ridare forma al giornale del carcere, fermo all’edizione del 2013. Le emozioni sono state forti, quelle vissute dentro quelle mura, dietro dieci porte blindate che ci separano dal nostro mondo, quello libero. Si rimane senza parole, barcollanti, dopo incontri così intensi, senza veli.
Non resta che prendere la penna per scrivere una dedica: “Ascoli Piceno, 19 ottobre 2018. A tutti i detenuti. Voi siete dentro e io fuori. Vi guardo negli occhi e mi chiedo perché”.