Il “mio” Muro di Berlino
Il “mio” Muro di Berlino L’erezione del Muro di Berlino è stato, a mio parere, il passo falso di un impero che si credeva vincente e incrollabile. E pensare che il suo nome ufficiale era “Antifaschistischer Schutzwall”, ossia barriera di difesa antifascista.
L’erezione del Muro di Berlino è stato, a mio parere, il passo falso di un impero che si credeva vincente e incrollabile. E pensare che il suo nome ufficiale era “Antifaschistischer Schutzwall”, ossia barriera di difesa antifascista.
Senza andare troppo indietro – ad esempio al “patto di non aggressione” tra Germania e Russia del 23 agosto 1939 basti ricordare la constatazione postbellica di Churchill: “da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico si è stesa una cortina di ferro” (1° luglio 1945). Il Muro di Berlino del 13 agosto 1961 entra in questa logica di separazione e di comportamento egemonico.
In quel giorno io ero a Francoforte, sede di assistenza agli italiani di Assia, Renania-Palatinato e Franconia affidatami nel 1955 dal direttore di Germania don Aldo Casadei che si trasferiva a Colonia. E ricordo la delusione e la rabbia di tutta la popolazione tedesca e l’indignazione della stampa per questo gesto di irrigidimento nei rapporti nella città divisa di Berlino. Non era comunque l’unico perché già precedentemente la Germania orientale sostenuta dal Cremlino aveva tentato di includere l’intera città di Berlino nell’orbita del proprio dominio.
Si sa che la Germania, con la disfatta, era stata divisa in “zone” di competenza tra le potenze vincitrici – America, Inghilterra, Francia e Russia – e che la capitale Berlino era stata divisa in “settori” di rispettiva competenza. Ma Berlino era un’isola in piena zona russa. Inaspettatamente Russia e Germania orientale chiudono i valichi di accesso sia ferroviari sia stradali, valicabili soltanto con permesso speciale e staccano anche la corrente elettrica la cui centrale era in Berlino Est. Gli americani allora avviano un “ponte aereo” Francoforte-Berlino per trasportare cibo e altri generi di prima necessità nella Berlino Ovest isolata. Inizio del ponte aereo 24 giugno 1948 e fine nel 1949 dopo 462 giorni con il ritiro della chiusura dei valichi.
Ritornando al muro ricordo che Radio Praga, nella sua trasmissione in italiano molto ascoltata dai nostri emigrati, buttava benzina sul fuoco parlando anche di un eventuale inasprimento militare tra Russia e Alleati nel clima della Guerra Fredda di allora. E i nostri operai si allarmarono, tanto più che dall’Italia non pochi familiari li consigliavano di rientrare prima che fosse troppo tardi. E in questa situazione di incertezza e disorientamento non pochi si licenziarono. Tant’è che La squilla (diventerà il Corriere d’Italia nel 1963), il settimanale delle Missioni cattoliche in Germania allora da me diretto, dovette intervenire scrivendo “Trionfi la ragione” contro l’allarmismo che andava allargandosi. E il Governo Federale della Germania occidentale apprezzò il nostro intervento. E anche il tempo ci dette ragione.
Potrei anche dire delle mie periodiche visite alla Missione cattolica italiana di Berlino e quasi sempre con una sortita a Berlino Est attraverso il checkpoint Charlie americano. Ma che poi smisi per gli eccessivi controlli al passaggio. E mi venne il dubbio di sospetti per un mio articolo su Berlino Est. Non mi dilungo, ma faccio notare quanto purtroppo siano ancora attuali la preoccupazione e il monito di papa Francesco: “No a muri, difese e chiusure. Sì a ponti, dialogo e progetti”. Ciò che ancora molti politici, persone e gruppi, non vogliono capire. Se ne pentiranno?