Le radici cristiane dell’Europa

Le radici cristiane dell’Europa Non meraviglia se un filosofo come Benedetto Croce ha scritto nel 1942 un saggio filosofico “Perché non possiamo non dirci cristiani”, sostenendo che il Cristianesimo ha operato la più grande rivoluzione morale conferendo risalto a una nuova virtù, a una qualità spirituale che fino allora mancava all’umanità.

È noto che il politico francese Valery Giscard d’Estaing, già presidente della Repubblica francese e convinto illuminista, venne incaricato, come Presidente della “Convenzione europea” di redigere una bozza di “Costituzione europea” che, pronta nel 2003 e approvata dal Consiglio d’Europa nel 2004 venne annullata da successivi referendum in Francia e Olanda. In detta bozza si ricordava il contributo di Grecia e Roma alla formazione di una coscienza europea senza alcun accenno alle “radici cristiane” su cui aveva più volte insistito san Giovanni Paolo II. 

Questo Papa aveva già rivendicato un’”Europa a due polmoni” – occidente e oriente – completando i santi patroni d’Europa: san Benedetto da Norcia (dichiarato nel 1964 da san Paolo VI), per l’occidente, con i santi Cirillo e Metodio (nel 1980), per l’oriente, cui aggiunse in seguito (1999) santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Benedetta della Croce.

Sempre nel 1999, accogliendo le indicazioni del sinodo dei vescovi, aveva pubblicato l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”. In effetti la storia indica chiaramente che l’Europa si è scoperta unita nell’anno 800 con l’incoronazione, a Roma per mano di papa Leone III, di Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero, frutto della cristianizzazione del continente a opera di ordini religiosi, particolarmente dei monaci benedettini, come documentato dall’elenco dei principali evangelizzatori e protettori dei singoli paesi europei di lingue e origini diverse.

Presso i Franchi sant’Ireneo di Smirne e i santi Cassiano e Donato (III e IV secolo), i santi Patrizio e Colombano per l’Irlanda (secoli IV e V), sant’Agostino di Canterbury per l’Inghilterra (secolo VI), san Bonifacio per la Germania e l’Olanda, (secolo VIII), sant’Ansgario (Oscar) per i Paesi scandinavi (secolo IX), i santi fratelli Cirillo e Metodio per i popoli slavi (secolo IX).  A ragione, san Giovanni Paolo II scrive nella citata esortazione che “la Chiesa ha da offrire all’Europa il bene più prezioso, la fede in Gesù Cristo”.

La centralità, la dignità e l’intangibilità della persona umana, la santità del matrimonio, il senso di comunità, per dire alcuni valori, sono la conseguenza del suo insegnamento, il naturale sviluppo dell’evangelizzazione degli stessi apostoli. Paolo (anno 60 circa, Atti degli apostoli, cap. 16) ha una visione: “gli stava davanti un macedone e lo supplicava: passa in Macedonia e aiutaci” e andò a Tessalonica e ad Atene.  È noto che Pietro e Paolo muoiono martiri a Roma (anno 67 circa).

Non meraviglia se un filosofo come Benedetto Croce ha scritto nel 1942 un saggio filosofico “Perché non possiamo non dirci cristiani”, sostenendo che il Cristianesimo ha operato la più grande rivoluzione morale conferendo risalto a una nuova virtù, a una qualità spirituale che fino allora mancava all’umanità.