Niente panico. Vicini per ricostruire

Niente panico. Vicini per ricostruire Dobbiamo imparare a convivere responsabilmente con il virus, osservando le regole come un “habitus” (al pari degli occhiali) del quale poi dobbiamo dimenticarci per fare con passione quel che ci è richiesto

Nell’attuale fase endemica l’espressione sociale del Sars-Cov-2 è aumentata complice in parte la diminuzione della temperatura e la ripresa delle attività. Tuttavia la sua letalità (numero di decessi per soggetti ammalati) è diminuita. Colpisce di più pazienti anziani con più patologie, mentre i malati ricoverati nei reparti Covid guariscono in pochi giorni e l’infezione non si ripresenta nei soggetti guariti. Con l’autunno inizia il tempo delle malattie respiratorie da raffreddamento e dell’influenza. Questa, nell’inverno 2017/18, colpì il 15 per cento della popolazione con tassi medi del 26 per cento nell’età 1-14 anni. La vaccinazione antinfluenzale, prevista nei soggetti over-65 (vaccinati per il 54 per cento l’anno scorso), negli operatori sanitari (nel 2019 furono solo il 18 per cento) e nei bambini a rischio per malattie croniche, va sicuramente fatta, anche se questo vaccino non possiede una grande efficacia soprattutto nella popolazione pediatrica: è necessario vaccinare 20 bambini per averne uno senza sintomi influenzali.

Dalla piattaforma FluNet dell’Oms, abbiamo la buona notizia che durante la pandemia avvenuta nell’emisfero sud in Australia, Sudafrica e Cile, nei recenti mesi invernali di luglio e agosto, i casi di influenza sono drasticamente diminuiti, non per la vaccinazione, ma perché il virus influenzale è circolato molto poco, come pure tutti i patogeni delle vie respiratorie, quasi scomparsi per l’interferenza del Covid 19.

Non è ragionevole “l’assalto” agli ambulatori per il vaccino né tanto meno la richiesta di vaccinazione universale nei bambini. Il vaccino influenzale mantiene le sue già note indicazioni e si affianca alle solite norme (mascherina/distanziamento/igiene) per ostacolare la diffusione del virus.

Ora con il nuovo Dpcm vengono previste ulteriori limitazioni sociali. Le penalizzazioni di alcune attività si possono comprendere. Altre no. Tutti capiscono ad esempio che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) deve recuperare il rallentamento nelle diagnosi (un milione di screening oncologici non eseguiti) e nelle terapie (più di 650.000 interventi saltati) per il Covid.

Allo stesso modo è impensabile chiudere di nuovo la scuola sia perché la diffusione del virus, come previsto, lì avviene in maniera residuale, sia perché soprattutto nella primaria, come già riportato in queste pagine, sono ben allarmanti i problemi emersi nei bambini durante il lockdown. La ricchezza della comunicazione in presenza è irraggiungibile in forma mediata. Il rapporto fisico è insostituibile e l’efficacia della didattica a distanza è ben dimostrato essere scarsa. Come pure sarebbe irragionevole rallentare nei percorsi tutta l’attività del volontariato ora sempre più necessario. Non ci si può chiedere di separare mondi che devono stare insieme.

Da parte nostra dobbiamo imparare a convivere responsabilmente con il virus, osservando le regole come un “habitus” (al pari degli occhiali) del quale poi dobbiamo dimenticarci per fare con passione quel che ci è richiesto. La paura, la diffidenza verso gli altri, cresce sia per la continua informazione/bombardamento dei media tipo “villaggio globale”, per cui anche cose poco probabili vengono sentite come reali e possibili, ma soprattutto se dentro di noi vi dedichiamo un’attenzione quasi ossessiva, trascurando colpevolmente i nostri compiti.

“L’audacia che viene dalla fede vince sulla paura della morte che viene dalla natura”, ripeteva don Giussani fondatore di Comunione e Liberazione.

Quella passione per la vita che apre alla felicità si vede benissimo negli occhi con cui guardiamo le persone al di sopra della mascherina. Gli altri se ne accorgono subito e ne vengono colpiti.

Da questo e niente di meno passa oggi la ricostruzione della società.