Non è una corsa senza fine ma un mettersi accanto

Il giornalismo non ha mai avuto così tanti strumenti tecnologici eppure non è da lì che dobbiamo ripartire

Ogni crisi è un bivio: restare fermi e subirla, oppure trasformarla in opportunità. Per noi giornalisti, il rischio di paralisi è reale. Il mondo dell’informazione vive oggi uno dei suoi momenti più critici, proprio nel momento in cui può disporre di un numero di strumenti mai avuti prima. Le opzioni per comunicare una notizia sembrano infinite. C’è l’imbarazzo della scelta, e tutto può essere realizzato con estrema semplicità: pubblicare la notizia su un sito web, diffonderla sui social media, sperimentarsi in video e podcast, utilizzare l’intelligenza artificiale, modificare modelli per infografiche… e di giorno in giorno questi strumenti continuano a evolversi superando confini impensabili anche solo il giorno prima, facendoci gridare degli “oh!” di stupore come la prima volta che abbiamo usato ChatGpt.

Qual è la l’altra faccia della medaglia? Il trovarsi intrappolati in una corsa sempre più veloce nella quale l’uomo rischia di rimanere indietro, immobile. Questa espansione tecnologica che abbiamo di fronte, come una moderna Torre di Babele, cifa sentire smarriti. Proprio nel momento in cui abbiamo a disposizione questa immensità tecnologica, ci guardiamo attorno. Non abbiamo fatto un passo in avanti e ci sembra di incidere sempre meno con i nostri giornali nel mondo che ci circonda. L’amara sensazione di essere irrilevanti, sopraffatti dal caos dell’informazione, è un peso che molti di noi portano.

Eppure, proprio nel cuore di questa crisi, c’è una strada per ripartire. Una strada a misura umana che ci invita a rimettere al centro ciò che conta davvero: la persona. Ce lo suggerisce papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: «Cari fratelli e sorelle, di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, vi invito ad avere cura del vostro cuore, cioè della vostra vita interiore».

Non è utilizzando la “magia illusoria” di questo o quello strumento tecnologico che i problemi legati alla carta stampata si risolveranno. Non è a partire dalle innovazioni tecnologiche che torneranno abbonati, autorevolezza e qualità per le nostre testate. Queste innovazioni sono necessarie, certo. Vanno conosciute e sperimentate, ma bisogna guardare più in là. Anzi, meno in là. Più vicino a noi, nel nostro cuore. Per ridare senso al lavoro che facciamo.

Nel nostro lavoro l’invito è di «essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro – è un’indicazione del Messaggio – parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro». Il nostro mestiere non è una corsa senza fiato verso l’ultima tecnologia, ma un cammino condiviso con le persone, le comunità, i territori. Un mettersi a fianco del mondo che ci circonda e riconoscendone i segni di speranza. Torniamo a raccontare storie che contano, a dare voce a chi non ce l’ha, a costruire ponti anziché muri.

La speranza per il futuro del giornalismo esiste. Come una squadra di calcio in bilico tra l’eliminazione e la qualificazione, il destino è ancora nelle nostre mani vincendo la prossima partita. Serve crederci. Serve impegno. Serve cuore. Se sapremo affrontare questa sfida con coraggio, potremo vincere la nostra partita più importante: ridare senso e valore al nostro lavoro e al ruolo insostituibile che l’informazione può avere nella società.