Per non dimenticare Auschwitz

Per non dimenticare Auschwitz Si avvicina nel calendario una data che deve rimanere - quasi pietra di inciampo! – nel cuore profondo di tutto il continente europeo: sabato 27 gennaio, Giornata della memoria. È il giorno che ricorda l’aprirsi dei cancelli del lager di Auschwitz sotto l’avanzata dei soldati dell’Armata Rossa; correva l’anno 1945.

Si avvicina nel calendario una data che deve rimanere – quasi pietra di inciampo! – nel cuore profondo di tutto il continente europeo: sabato 27 gennaio, Giornata della memoria. È il giorno che ricorda l’aprirsi dei cancelli del lager di Auschwitz sotto l’avanzata dei soldati dell’Armata Rossa; correva l’anno 1945.

Qualche anno prima, nell’autunno del 1939, gli eserciti di Hitler e di Stalin si erano incontrati per spartirsi la Polonia e altri territori ancora, ridefinendo così la carta politica dell’Europa nei segni perversi della svastica e della falce e martello. A sconvolgerla ulteriormente negli anni a seguire furono il secondo conflitto mondiale e la tragedia della Shoah, anticipata nell’Unione sovietica dai reticolati dei Gulag, allungatisi oltre la cortina di ferro che costringerà la Chiesa a vivere come “Chiesa del silenzio”.

A Cesena diamoci appuntamento in piazza Almerici, davanti alla lapide collocata a ridosso del Palazzo del Ridotto. Nei pressi, un tempo lontano, vi sorgeva la sinagoga della piccola comunità ebraica; recentemente sono riemersi, nei plutei della Malatestiana, alcuni codici che forse risalgono a quei tempi: ne ha parlato Paola Errani. La lapide fa memoria dei nostri concittadini ebrei arrestati e avviati verso gli inferni organizzati dall’ideologia nazista, per racchiudervi nelle camere a gas, con un destino di umiliazioni, sofferenze inaudite e soppressione quanti erano ritenuti incompatibili con la “pura razza ariana”, presunta prerogativa del popolo tedesco che “solo” era ritenuto degno di costruire la storia da protagonista. E dello sterminato numero di queste vittime fanno parte milioni di donne, uomini e bambini appartenenti al popolo ebraico, radicati già da secoli nelle terre della diaspora. Nelle file degli aguzzini oltre alle SS tedesche, qui in Romagna si trovavano le Brigate Nere, di cui facevano parte anche dei cesenati.

Nei progetti demoniaci di Hitler e dei suoi seguaci, con la simpatia e la complicità delle S componenti razziste dell’ideologia fascista, la “soluzione finale” sarebbe poi dovuta abbattersi anche sui cristiani che riconoscono il patriarca Abramo come loro padre nella fede, responsabili dell’“inquinamento” che avrebbe alterato la primigenia e pagana storia del popolo tedesco.

La “Giornata della memoria” deve aiutarci a ripercorrere, chiedendo perdono al Signore Gesù e ai “fratelli maggiori” (non più “perfidi giudei”!) per l’indifferenza con cui i nostri padri e nonni, in Italia, nel 1938, accolsero e approvarono le leggi razziali che si facevano eco di quanto avveniva nel Reich nazista. Ancor più occorre riflettere sulla conversione vissuta dalla Chiesa cattolica convocata a Roma da papa Giovanni XXIII per il Concilio Ecumenico. Nel documento “Nostra aetate” la Chiesa “guardando al suo interno, desidera riscoprire il valore e la dignità del popolo di Israele e della fede da esso professata”.

Lo Yad Vashem, a Gerusalemme, da tempo sta scolpendo sulle sue pareti i nomi dei “giusti tra le nazioni” che hanno soccorso – a rischio della vita – gli ebrei perseguitati. Al lungo elenco Cesena può aggiungere gesti di solidarietà ad alcune famiglie ebree che è bene far riecheggiare nella memoria. La prima di nome Lerher, la seconda, la famiglia del notissimo primario dell’ospedale “Maurizio Bufalini” (già emarginato dalla professione), con la moglie Dora. Si era nell’autunno del 1942; dalla Germania giungevano allarmanti notizie circa lo sterminio degli ebrei. La fuga in Svizzera vide la complicità rischiosa dei monaci di Santa Maria del Monte e dei medici della casa di cura “San Lorenzino”, Elio Bisulli e Achille Franchini.

Nell’elenco della lapide collocata sulla fiancata del Palazzo del Ridotto (in quei giorni sede delle Brigate nere) si legge il nome dei coniugi Bernardo Brumer ed Elena Rosenbaum. Il parroco di Cesenatico don Lazzaro Urbini – poi morto vittima di una granata mentre portava soccorso agli ammalati del locale ospedale – li aveva raccomandati alla propria famiglia, che abitava a San Vittore di Cesena. Qui, a seguito di una spiata, i Brumer furono catturati dai brigatisti neri di Cesena (il 10 agosto 1944) insieme al fratello di don Lazzaro, Adamo, un seminarista non ancora sacerdote che riuscì a sfuggire alla deportazione in Germania grazie all’intervento del vescovo Beniamino Socche, in quel tempo nero “defensor civitatis” che tentò invano di intercedere pure per la famiglia Brumer.

Non possiamo dimenticare Auschwitz. Le sfide dell’inferno sono sempre in agguato, approfittando peraltro dell’azzeramento dei valori che sono alla base della nostra coscienza – illuminata però dalla sana ragione valori che stanno a fondamento dei “Principi fondamentali” della nostra Carta Costituzionale.