Suicidio assistito, e non si discute. Morte a richiesta in 42 giorni
Suicidio assistito, e non si discute. Morte a richiesta in 42 giorni Una delibera regionale dà il via libera, senza dibattito né voto. Ma il diritto da difendere è quello alla vita
Il “diritto di congedarsi dalla vita”. È già un diritto per la Regione Emilia-Romagna, come si legge nel comunicato che annuncia l’istituzione del Comitato regionale per l’etica nella clinica (Cerec), chiamato a dare «pareri non vincolanti relativi a richieste di suicidio medicalmente assistito». Occorre, tra l’altro, assicurarlo in tempi rapidi, entro 42 giorni dalla richiesta, spiegano dall’ufficio stampa della Regione.
Una priorità, insomma, per la sanità regionale. Un “diritto” acquisito, che se fosse tale porterebbe con sé dei doveri, quello appunto per il Servizio sanitario nazionale, di “dare la morte”, l’esatto contrario di quel che è chiamato a fare ogni medico sin da quando pronuncia il suo giuramento di Ippocrate. Oltretutto con fondi pubblici, sempre più scarsi per la sanità. Il paradosso è dietro l’angolo: per ottenere il suicidio assistito, secondo i piani della Regione, potrebbero bastare 42 giorni, mentre per avere esami e operazioni che possono salvarla, la vita, si devono attendere mesi. Per non parlare delle cure palliative che non sono affatto garantite per tutti i pazienti che ne avrebbero bisogno. E che, dicono palliativisti e medici che lavorano all’hospice, sono spesso il vero antidoto alle richieste eutanasiche dei pazienti.
Il vero diritto da tutelare, invece, è quello alla vita: un bene assoluto, per tutti, non solo per i credenti. Dio non risolve la sofferenza, «togliendo la vita ma togliendo il dolore », ha detto domenica il presidente della Cei, il cardinal Matteo Zuppi. «Non si cura una persona togliendole la vita», ha rimarcato anche l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni in occasione della Giornata del malato. È il diritto alla vita che occorre rimettere a fuoco in questo dibattito che ha preso un abbrivio pericoloso. La creazione, magari con le migliori intenzioni, di un Comitato regionale per l’etica toglie, di fatto, alla politica, e in specifico all’assemblea regionale, la possibilità di affrontare e “votare” su questo grande tema. Con questa delibera, l’Emilia-Romagna è la prima regione in Italia a introdurre il suicidio assistito, senza discuterne. Prima di una legge nazionale, senza un dibattito pubblico. Solo assicurando che si “farà presto”, mettendo a punto un protocollo, una tempistica, delle prestazioni. Ma il suicidio assistito non può essere un “servizio” da assicurare. Quello a morire non è un diritto, è una sconfitta per tutti.
E le persone non sono un “problema” da risolvere, o da delegare a un comitato etico. È nel dialogo quotidiano e costante tra medico, familiari e paziente che si può curare la persona, in modo umano, sino all’ultimo, anche quando non può guarire. Allo stesso modo non basta una pillola abortiva per “risolvere” il problema di una gravidanza indesiderata, come la facilità con cui viene prescritta potrebbe lasciare a intendere. I segni di quella mancata gravidanza, purtroppo, li portano addosso le donne, per anni e per decenni, come testimoniano tanti Cav e psicologi impegnati nei traumi post-aborto. Ed è più semplice dare gratis anticoncezionali ai giovanissimi piuttosto che educarli a un’affettività sana e rispettosa del proprio corpo. Non basta una pillola: mai, quando si tratta di persone. A maggior ragione, quando si tratta di vita, e di morte.