Una “legge Scalfarotto” regionale?
Una "legge Scalfarotto" regionale? La regione Emilia-Romagna pare volersi accodare presto ad altre amministrazioni regionali in materia di omofobia e transfobia, approvando ciò che non è stato ottenuto per via parlamentare. Stiamo parlando della cosiddetta legge contro “l'omotransnegatività e le violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere”, presentata in commissione Parità dell’Assemblea legislativa regionale.
La regione Emilia-Romagna pare volersi accodare presto ad altre amministrazioni regionali in materia di omofobia e transfobia, approvando ciò che non è stato ottenuto per via parlamentare.
Stiamo parlando della cosiddetta legge contro “l’omotransnegatività e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, presentata in commissione Parità dell’Assemblea legislativa regionale e che ricalca la già bocciata legge Scalfarotto, contro la quale numerose contestazioni si erano sollevate nelle stanze della politica e nelle piazze di tutta Italia.
Tale progetto di legge (pdl), la cui discussione in commissione è iniziata mercoledì 13 febbraio, è stato presentato dai Consigli comunali di Bologna, Parma, San Pietro in Casale e Reggio Emilia e si trova ora abbinato a un altro pdl denominato “norme per il diritto all’autodeterminazione, contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, che vede tra i firmatari i consiglieri del Movimento Cinque Stelle Silvia Piccinini (prima firmataria), Raffaella Sensoli e Andrea Bertani.
Eppure come per la legge nazionale rimasta poi bloccata dopo la sua approvazione alla Camera, il copione sembra essere lo stesso: cavalcando la giusta lotta contro le discriminazioni, per colpire le opinioni e la libertà di espressione.
Nel testo presentato dai comuni emiliani, dalla giunta bolognese targata Pd del sindaco Merola, molto attenta alle istanze Lgbt, a quella civica di Pizzarotti a Parma, schieratasi di recente a favore delle trascrizioni di bambini come “figli” di coppie omogenitoriali, sono molti i punti che destano preoccupazione. Si parla dell’intenzione di “prevenire e superare le situazioni, anche potenziali, di discriminazione e omotransnegatività, quali comportamenti di avversione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica”.
Un’accezione a maglie molto larghe dentro la quale potrebbe finire qualsiasi tipo di affermazione a sostegno della famiglia naturale, così come riconosciuta dall’articolo 29 della Costituzione.
Una dichiarazione che si andrebbe a unire alla volontà della Regione di promuovere e valorizzare “l’integrazione tra le politiche educative, scolastiche e formative, sociali e sanitarie, del lavoro”, coadiuvata dall’adesione alla rete Re.a.dy (Rete nazionale delle Pubbliche amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere).
Insomma, parrebbero esserci tutti i requisiti per una rieducazione a tutto tondo: dalla sanità, al mondo del lavoro, fino a giungere nelle scuole, un settore della vita pubblica delicatissimo se si pensa alle numerose iniziative di comitati dei genitori dispiegatesi in Emilia-Romagna e non solo, per far prevalere la priorità educativa delle famiglie sui propri figli rispetto alle iniziative scolastiche.
Non manca l’ormai inflazionato “contrasto degli stereotipi di genere” anche in relazione ad “attività e iniziative a sostegno dell’associazionismo sportivo”, con buona pace di chi potrebbe affermare che le differenze nelle discipline sportive, non nascono dalla società, bensì dalla biologia umana.
Infine a garantire la corretta vigilanza sull’attuazione del pdl e sui suoi risultati sarebbe, oltre all’osservatorio regionale, il Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni), con il compito di effettuare “la rilevazione sui contenuti della programmazione televisiva e radiofonica regionale e locale, nonché dei messaggi commerciali e pubblicitari, eventualmente discriminatori”.
Una funzione che potrebbe travalicare le stesse prerogative del comitato, come sottolineato dal consigliere del Gruppo misto Michele Facci, assegnando al Corecom compiti maggiori rispetto a quelli previsti dalla legge quadro sulle parità.