A cena va in onda la morte. Su quale canale è la vita?
A cena va in onda la morte. Su quale canale è la vita? L’invasione russa dell’Ucraina, su cui siamo aggiornati in tempo reale da internet e dai programmi tv, ripropone la questione della spettacolarizzazione della guerra - o almeno della sua mediatizzazione - ai tempi del web
L’invasione russa dell’Ucraina, su cui siamo aggiornati in tempo reale da internet e dai programmi tv, ripropone la questione della spettacolarizzazione della guerra – o almeno della sua mediatizzazione – ai tempi del web.
Dico ripropone perché, dall’11 settembre 2001 in poi, è già successo almeno con l’Afghanistan, la Siria e l’Iraq. Solo che questa volta l’orrore è più vicino, “nel cuore dell’Europa” come hanno titolato i principali quotidiani.
Scriveva Antonio Scurati qualche giorno fa: «Da una parte Polina, soltanto dieci anni, e la sua ciocca di capelli rosa; Sasha, la pensionata dilaniata da un razzo perché non aveva voluto abbandonare il suo cane; Oleg, Irina e i loro due bimbi sterminati mentre fuggivano in auto.
Dall’altra parte tutti noi, al sicuro sul versante incruento del conflitto, noi che ogni mattina sfogliamo l’album delle vittime innocenti mentre sorseggiamo il nostro cappuccino. È davvero pietà la nostra?».
Non c’è dubbio che le immagini provenienti dall’Ucraina tocchino profondamente e muovano alla commozione e alla solidarietà. Non si resta impassibili davanti agli occhi delle persone in fuga, alle case sventrate, ai giocattoli rotti che affiorano dalle macerie, anche se basta un lieve movimento del dito per passare ai quiz televisivi, alla cronaca rosa o a quella sportiva.
Se poi si considera il caso di internet, le cose si complicano ulteriormente. Non credo sia un invito all’indifferenza il suggerimento proveniente dagli esperti del Mit di Boston, l’università tecnologica più famosa del mondo: «A volte, davanti ad eventi così drammatici, vale la pena di prendersi una pausa dai social».
Nel mirino c’è quella reazione, a tratti compulsiva, che incolla al monitor alla ricerca spasmodica delle ultime (dettagliate) notizie, seguita da rabbia, tristezza, confusione, frustrazione. E alla fine assuefazione.
Per non parlare del rischio, assai frequente sui social, di imbattersi in fake news, propaganda, disinformazione e magari rilanciarla sul nostro profilo, pur desiderando solo esprimere partecipazione e condanna.
Dura oramai da troppo tempo – scriveva ancora Scurati – «questa condizione paradossale che ci consente di consumare, restando inerti, il dolore degli altri… Eravamo diventati telespettatori anche delle nostre stesse vite. Ecco, allora, che allo scoppio di ogni nuovo conflitto armato ci riscopriamo sgomenti, impotenti, ignoranti e, in fondo, indifferenti ». Troppo severo il suo giudizio? Forse sì, ma la domanda rimane: noi, uomini e donne di oggi, siamo solo spettatori?