Chiesa 3.0, la tecnologia a servizio della comunità

Chiesa 3.0, la tecnologia a servizio della comunità È giunto il tempo della pastorale 3.0, ossia di mettere la tecnologia a servizio delle comunità, puntando sulla capacità dei nuovi media di diffondersi in tutte le direzioni ed essere generativi di relazioni.

È giunto il tempo della pastorale 3.0, ossia di mettere la tecnologia a servizio delle comunità, puntando sulla capacità dei nuovi media di diffondersi in tutte le direzioni ed essere generativi di relazioni. È questa la tesi di fondo con cui il professor Piercesare Rivoltella, docente dell’Università Cattolica di Milano, ha provocato i vescovi italiani riuniti in assemblea alla fine di maggio.

Nel suo intervento davanti ai presuli, il professore è partito dal fatto che la storia di salvezza è una storia di comunicazione e l’educazione è la finalità che guida l’intero processo. Alle origini, la Chiesa inizia a comunicare perché c’è qualcosa da tramandare, da non disperdere, da consegnare alle generazioni successive. Da qui deriva anche la necessità, per i credenti, di parlare la stessa lingua degli uomini nelle diverse epoche, compresa quella odierna, che è quella dei media sempre più invisibili, indossabili, innestati e mescolati con le cose e soprattutto con le nostre vite.

Davanti a questo scenario gli approcci possono essere diversi. Un primo modo di reagire è quello di guardare agli strumenti digitali principalmente come “tecnologie della distanza”, che consentono di comunicare annullando l’impatto del luogo e del tempo. Tutto avviene in tempo reale. Le differenze, da questo punto di vista, sono per lo più quantitative, e la comunicazione resta in gran parte unidirezionale e verticale.

Il passo successivo è quello che considera la Rete un’estensione delle comunità fisiche. Per guardare alle comunità ecclesiali, è quello che succede ad esempio con i messaggi di Whatsapp in appoggio ai gruppi della catechesi o con i tweet quotidiani sul vangelo del giorno. La comunicazione diventa più interattiva, bidirezionale, ma resta in gran parte interna alla comunità stessa. La carica missionaria è debole.

Ecco allora lo scenario ulteriore, definito appunto della pastorale 3.0. I media, più che strumenti, sono un tessuto connettivo, opportunità di relazioni, nuove o da rivitalizzare. All’esperienza prevalentemente verticale si sostituisce quella sinodale, con una spinta ad attivarsi e un senso di responsabilità che riguarda tutti. La sfida è notevole, soprattutto se si pensa a come la cultura digitale sta trasformando i concetti di autorità e di gerarchia, essenziali nella visione ecclesiologica e non solo.

La logica da sviluppare – questo il punto di approdo durante l’assemblea dei vescovi – è quella del raccordare in modo sempre più efficace i servizi digitali con le comunità sul territorio, continuando il discernimento e la formazione di persone.