Il problema non è l’intelligenza del computer, ma la visione dell’uomo

Il problema non è l'intelligenza del computer, ma la visione dell'uomo Continua a tenere banco il dibattito sull’intelligenza artificiale, alimentato dall’appello che una vasta pattuglia di tecnici, imprenditori e docenti universitari hanno lanciato per una moratoria di sei mesi nello sviluppo dei sistemi più progrediti

Continua a tenere banco il dibattito sull’intelligenza artificiale, alimentato dall’appello che una vasta pattuglia di tecnici, imprenditori e docenti universitari hanno lanciato per una moratoria di sei mesi nello sviluppo dei sistemi più progrediti.

Il rischio che si teme è che la tecnologia corra più veloce degli uomini che dovrebbero controllarla e crei disastri nel mondo del lavoro, dell’informazione e della sicurezza, per citare solo i principali ambiti delle sue applicazioni. Fra le numerose pubblicazioni disponibili sull’argomento, da qualche mese è in libreria anche un libro dedicato al rapporto fra la Chiesa e l’intelligenza artificiale.

Lo firma Giovanni Tridente, docente di giornalismo d’opinione presso la Pontificia Università della Santa Croce e studioso di tematiche legate all’evangelizzazione attraverso le nuove tecnologie.

“Anima digitale. La Chiesa alla prova dell’Intelligenza Artificiale” – questo il titolo del testo pubblicato da Tau editrice – si articola in tre capitoli, in cui viene ripercorso il fecondo rapporto tra la Chiesa e le tecnologie di ultima generazione, con uno sguardo specifico agli ultimi progressi, alle possibilità e ai rischi che essi contengono.

La tesi centrale del volume è che anche in questo campo sia necessario un “supplemento d’anima”.

È troppo importante la posta in gioco per non porsi il problema degli effetti e, prima ancora, degli obiettivi che sottostanno alla ricerca scientifica e alle sue applicazioni.

Ancora una volta emerge la necessità di una “visione dell’uomo” adeguata agli scenari che si stanno aprendo, così vasti e sconosciuti da far tremare le vene ai polsi anche ad Elon Musk e colleghi. Proprio al miliardario ipertecnologico di origine sudafricana, che ha chiamato il suo settimo figlio con la sigla X Æ A-XII, è dedicato “L’uomo che vuole risolvere il futuro”, che Bollati Boringhieri ha appena dato alle stampe.

L’accusa di Fabio Chiusi al proprietario di Twitter – e a quanto condividono il suo pensiero – è quella di porre il problema in termini errati.

«Il futuro non si risolve come un’equazione – scrive l’autore – e nessuna mirabolante tecnologia a venire oggi concepibile illuminerà di un millimetro le incognite ultime degli sviluppi sociali e politici dei prossimi millenni, se ci saranno ».

Invece di affidarla religiosamente alle innovazioni digitali e ai loro profeti, la progettazione del futuro è compito di persone «che possano realmente garantirne evoluzioni ed esiti più – non meno – democratici, inclusivi, partecipati».