Ma la tecnologia non doveva aiutarci ad avere più tempo?
Ma la tecnologia non doveva aiutarci ad avere più tempo? La cultura della velocità, o meglio istantaneità, alimentata dalla tecnologia, crea un’aspettativa di immediatezza nelle risposte e nelle prestazioni, influenzando il modo in cui percepiamo e utilizziamo il tempo e ci rapportiamo alle persone
Si è tenuta nei giorni scorsi a Trieste la 50esima Settimana sociale dei cattolici in Italia, un appuntamento periodico che la Cei propone per approfondire argomenti e individuare proposte sui diversi aspetti della vita sociale. Dopo aver affrontato, nelle ultime edizioni, il tema del lavoro e della salvaguardia del pianeta, è stata la volta della partecipazione alla vita civile, cuore della democrazia.
Leggendo le piste di riflessione proposte, non emergono molti riferimenti al ruolo della trasformazione digitale in atto, certo non priva di ricadute sulla qualità della partecipazione a tutti i livelli. L’aggancio però non manca e lo offre soprattutto il riconoscimento di quanto sia cambiato il “fattore tempo”.
La cultura della velocità, o meglio istantaneità, alimentata dalla tecnologia, crea un’aspettativa di immediatezza nelle risposte e nelle prestazioni, influenzando il modo in cui percepiamo e utilizziamo il tempo e ci rapportiamo alle persone. La possibilità di acquistare comodamente e da qualsiasi luogo beni e servizi, inoltre, ha cambiato le dinamiche del consumo, portando a comportamenti impulsivi, alla dipendenza dalle gratificazioni istantanee e a una minor pazienza.
Il multitasking, ovvero la possibilità di gestire più attività contemporaneamente tramite i dispositivi digitali, è diventato un imperativo assoluto. All’aumento della produttività fa però da contraltare una maggiore frammentazione del tempo e della concentrazione.
Per non parlare della conseguenza più paradossale di tutte: la tecnologia ci aiuta a risparmiare tempo che finiamo poi per impiegare (leggi “perdere”) senza fare altro che scorrere il display dello smartphone tra immagini, news e video, senza scopo né meta.
Il risultato è quello di trovarsi ad essere continuamente e inesorabilmente in affanno. La carenza di tempo e l’accelerazione dei processi – sottolinea la ‘Settimana’ di Trieste – «rischia di far sacrificare troppo sull’altare dell’efficienza e della rapidità, e se la democrazia stessa è sinonimo di incontro, ascolto, mediazione, sintesi, comprimere questi aspetti in nome di altri tipi di performance potrebbe significare colpirla al cuore».
Tutta la nostra vita sociale si nutre di tempo “di qualità”. Non esiste, infatti, solo la sostenibilità economica ed ecologica. Guai a trascurare la sostenibilità “umana” e relazionale, quella cioè che ci aiuta a regolare gli impegni e la gestione del tempo sui criteri della condivisione, della cura delle relazioni, dell’essenziale. In una parola, della gratuità.