Mutano gli algoritmi ma il prodotto non cambia
Mutano gli algoritmi ma il prodotto non cambia L’annuncio fatto qualche settimana fa da Facebook che da ora in poi, sulle nostre bacheche digitali, compariranno i contributi pubblicati dai nostri amici e familiari più che le pagine di informazione, ha fatto ulteriormente sollevare il velo sul modo di operare dei colossi che controllano il web.
L’annuncio fatto qualche settimana fa da Facebook che da ora in poi, sulle nostre bacheche digitali, compariranno i contributi pubblicati dai nostri amici e familiari più che le pagine di informazione, ha fatto ulteriormente sollevare il velo sul modo di operare dei colossi che controllano il web.
È come minimo ingenuo, infatti, pensare che i social network trattino i contenuti in modo uguale. La visibilità dei post varia enormemente, in base a quanto i vari utenti sono desiderabili per gli inserzionisti. Chi gestisce una pagina di Facebook lo sa bene: sono continue le offerte che gli promettono per pochi euro di dare maggiore visibilità ai propri post. Può decidere anche il bacino geografico di provenienza degli utenti sulle cui bacheche vuole far comparire i propri articoli, o altri parametri che il colosso digitale conosce di ogni suo membro: interessi, opinioni, gusti, abitudini.
Nulla è casuale nel mare magnum del web.
Tutto è etichettato e profilato. E niente è gratuito, ovviamente. Cambia solo la moneta con cui si paga. Non stiamo parlando dei bitcoin, spuntati fuori non si sa da dove e dal futuro a dir poco incerto, ma dei propri dati personali.
È questa la valuta più preziosa e apprezzata in rete.
L’annunciata modifica all’algoritmo di Facebook ha ottenuto reazioni diverse. Da una parte si manifesta soddisfazione per l’intenzione di privilegiare le relazioni interpersonali, secondo quanto affermato da Zuckerberg e soci: “Daremo priorità ai post che generano conversazioni e creano interazioni significative tra le persone”. Di contro, non manca chi esprime scetticismo: le persone finiranno per vedere solo contenuti modellati sulle proprie opinioni e ideologie, sfatando così l’immagine di internet come una finestra sulla realtà e un contributo alla democrazia. Nessuna conseguenza di rilievo, inoltre, si verificherà nella lotta alle fake news: notizie non verificate potrebbero continuare a diffondersi indisturbate in modo capillare, basta che siano condivise da qualche amico o parente.
Vista con l’occhio del business, quella di Facebook sembra una mossa suicida. Tant’è vero che, dopo l’annuncio, il titolo ha perso in Borsa a Wall Street il 5 per cento. Solo all’apparenza, però. C’è infatti chi giura che i grandi colossi dell’industria e del media-system mondiale continueranno ad avere un trattamento di favore, visto che le loro pagine collezionano alti volumi di traffico digitale. Come notava Avvenire, commentando la notizia, “giganti come Facebook, Google e Apple non sono dei benefattori dell’umanità, ma al massimo dei propri azionisti”.