Nel mercato delle emozioni si resta incollati al display
Nel mercato delle emozioni si resta incollati al display Anche online vale la regola adottata nei centri commerciali: nulla è lasciato al caso
Social network, motori di ricerca, siti web e piattaforme digitali sono in grado di modificare il nostro comportamento?
La risposta non è così facile. Pensando agli altri, saremmo tentati di rispondere in modo decisamente positivo. Guardando a noi stessi, giureremmo che no, noi non ci lasciamo e non ci lasceremo mai influenzare dai mercanti di Internet.
Eppure, anche online vale la regola adottata nei centri commerciali: nulla è lasciato al caso. Lo rivelano, tra gli altri, gli autori di The Social Dilemma, il documentario disponibile da qualche mese su Netflix in cui alcuni dei creatori dei più famosi social svelano intenzioni e meccanismi che presiedono ai “contenitori” digitali.
Per limitarsi a uno degli esempi citati nel video, i comunissimi puntini di sospensione – o le parole: “… sta scrivendo” – che appaiono quando lasciamo un commento sotto un post o chattiamo con qualcuno, sono stati inseriti principalmente per prolungare il tempo in cui restiamo incollati allo smartphone, magari con un occhio rivolto alle inserzioni pubblicitarie, così da carpire ulteriori informazioni su di noi e su ciò che ci piace.
Davanti a tanta invadenza, velocità e affabulazione ci si sente del tutto disarmati.
Il documentario tenta di indicare alcuni accorgimenti per rompere o limitare la dipendenza, ma il finale ha il sapore di una domanda amara: a ormai 15 anni dalla rivoluzione innescata dal primo iPhone, abbiamo ancora il tempo e la forza di fermarci, pensare, scegliere, selezionare, scartare?
Un altro tema che spesso viene affrontato in questi casi riguarda la facilità con cui Internet diffonde (e amplifica) le fake news montate ad arte, le radicalizzazioni e gli aizzatori di tensioni sociali.
I cosiddetti “odiatori” della Rete, anch’essi interessati al mercato dell’attenzione e delle emozioni online. «Per far cliccare cosa bisogna fare?». Si chiede Milena Santerini, pedagogista dell’Università Cattolica e coordinatrice della Commissione nazionale contro l’antisemitismo.
«Bisogna scatenare le emozioni e più spesso sono cattive. Abbiamo capito troppo tardi che le piattaforme avevano giocato scientificamente su questa possibilità di guadagno e hanno scatenato dei processi che non sanno più controllare ». D’altra parte, Internet offre l’illusione dell’anonimato e un pubblico potenzialmente sterminato. Per far fronte alla valanga di odio digitale sono stati messi in campo algoritmi raffinati, ma non bastano.
«Ci vogliono le persone», spiega la professoressa Santerini. E con esse servono «investimenti, ricerca, prevenzione, educazione alle emozioni e la vigilanza di tutti».