Se non ci si guarda in faccia è il trionfo della solitudine
Se non ci si guarda in faccia è il trionfo della solitudine Da una parte la crescita a dismisura dello scambio di messaggi e, dall’altra, la scomparsa progressiva della conversazione
“Più connessioni, meno conversazioni”. Notavamo già, qualche puntata fa, come la nostra epoca si sviluppi nel paradosso che vede da una parte la crescita a dismisura dello scambio di messaggi e, dall’altra, la scomparsa progressiva della conversazione. Ci torniamo sopra oggi grazie alle parole – citate in apertura – di David Le Breton, sociologo francese.
Intervenuto allo scorso Festival Filosofia di Modena, ha tenuto a sottolineare l’importanza dei volti, grandi assenti in molta della comunicazione odierna, tanto che in essa – affermava provocatoriamente – le distanze si accorciano, ma la presenza dell’altro sembra quasi secondaria. Il risultato è che «stiamo vivendo un autismo sociale in cui ognuno è nella propria bolla, siamo insieme ma soli, ognuno dietro il proprio schermo. Questo cambia completamente la fisionomia delle persone: non ci sono più, o quasi, sguardi o sorrisi». A meno che non ci si accontenti delle faccine delle emoji.
Per Le Breton, l’assenza del volto coincide con un indebolimento della responsabilità verso l’altro, perché «il volto è il centro di gravità di ogni conversazione. È il luogo elementare dell’etica». Attraverso il volto percepiamo l’umanità dell’altro, la sua vulnerabilità, e manifestiamo la nostra. Senza i volti, non c’è vera fiducia e protezione.
Dobbiamo arrenderci alla scomparsa della conversazione? Del volto degli altri? Con questi scenari – risponde il professore – dovremo sapervi convivere. Tuttavia possiamo provare ad applicare delle forme di resistenza: «Io mi sono dato delle regole: lo smartphone è uno strumento importante, ma cerco di non esserne schiavo, leggo i messaggi poche volte al giorno, non sono obbligato a rispondere immediatamente. E ho riscoperto anche la bellezza dei cammini e dell’andare a piedi: mentre cammino insieme ad altri, faccio conversazione, scambio idee, ci guardiamo negli occhi. Ritrovo il mio tempo e non quello imposto dalla tecnologia».