San Giovanni della Croce, doctor mysticus.. “spalla a spalla” con Teresa di Gesù per il rinnovo del Carmelo

Juan de Yepes Alvarez nacque il 24 giugno del 1542 a Fontiveros, un comune di poche anime situato tra la Castiglia autonoma e Leòn. Di famiglia poverissima. La madre vedova per sopravvivere si sbatteva senza tregua a destra e manca per riempire le bocche affamate dei figli e far fronte alla fame. Il piccolo Juan manco a dirlo era gracile e malaticcio, ma forte e temprato nello spirito si diede da fare come infermiere, falegname, pittore, intagliatore e sarto, insomma qualsiasi attività remunerativa che gli permettesse di mantenersi agli studi di cui si sentì portato. Tra il 1551 e il 1559 lo troviamo al “Colegio de los doctrinos” di Medina del Campo, dove si era trasferito con la madre.

A vent’anni nel 1563 decise in cuor suo di entrare in noviziato tra i figli di Maria del Monte Carmelo o meglio i Carmelitani scalzi. Nella povertà più estrema della sua infanzia, il Signore lo modellava come il vasaio con la creta. (Ger 18, 1-10) La voglia di Dio e di Assoluto erano ben scolpiti nel suo intimo più profondo e questo lo portò a diventare poi uno dei più alti mistici nonché Dottore della Chiesa, a cui aggiunsero il soprannome: ductor mysticus: il mistico dottore. Completò gli studi di teologia, filosofia all’università di Salamanca tra il ’64 e il ’68. Divenne sacerdote a 24 anni. Era una bomba pronta ad esplodere. Come diciamo noi oggi nel gergo dei nostri giovani e non più: “carico a manetta”.

Scoprì una gran voglia di una vita rigorosamente consacrata al silenzio e alla contemplazione, una voglia matta che neppure i brillanti studi teologici riuscirono a sopire. L’incontro che diede la giusta direzione fu con Teresa di Gesù della città di Avila, gli diede un’opportunità invitandolo a collaborare con lei alla Riforma dell’Ordine Carmelitano. Allora cominciò a venire fuori il vero Juan de la Crux (ovvero per noi, Giovanni della Croce). Fu maestro dei novizi, attirando giovani che desideravano condurre una vita come la sua. Cominciarono quelle incredibili ed esaltanti esperienze mistiche che da tempo “bollivano sottovena”.

La sua ascesi, la vita di preghiera, l’elevazione dello spirito e l’ingegno ne fecero un esempio per tanti anche al di fuori delle mura del Carmelo. La vasta dottrina, la sua profondissima interiorità e soprattutto la fiamma d’amore che lo bruciava senza consumarlo (Es 3,1-6) ma perfezionandolo nel “crogiuolo di Dio”: un grande santo, un grande maestro. Teresa aveva visto giusto… Quello che Juan de la Crux sentiva doveva custodirlo senza perderlo, allora cominciò a scrivere. Poemi, trattati che sprigionavano l’esperienza e la sapienza mistica, quella che non viene dai libri né dagli studi ma che nasce, cresce e matura in un rapporto di amore totale: fisico, spirituale, mentale nello stesso tempo senza tempo, inspiegabile a parole, chiedere a Teresa. Un amore che ti consuma fisicamente, ti sfinisce e ti uccide, perché l’”io” non esiste più. Può esserci un “tu” che diventa un ”noi” che sa di amore di una fornace che ha vampe infuocate, che non scaldano ma bruciano, consumano.

Morì a Ubeda, il 14 dicembre 1591 a 49 anni, dilaniato nell’essere (in senso ontologico) dall’amore con la a maiuscola quello che ti fa arrivare a dire: “Rompi la tela ormai al dolce incontro” una sua composizione ispirata al Cantico dei Cantici. I suoi poveri resti riposano in una chiesa carmelitana a Segovia in Spagna.

Ha scritto tanto. Tra i suoi libri vengono segnalati:  Salita al monte Carmelo; Notte oscura; Cantico spirituale; Fiamma viva; I suoi scritti furono pubblicati nel 1618, più di vent’anni dalla morte. Beatificato da papa Clemente X e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726; dichiarato Dottore della Chiesa da Achille Ratti o meglio Pio XI nel 1926 nel duecentesimo anniversario della canonizzazione. 

“Rinnega i tuoi desideri e troverai quello che il tuo cuore desidera”.  (Giovanni della Croce)