Dalla Chiesa
San Pio X, il Papa del numero 9
Siamo oramai al termine del calciomercato. No, papa Pio decimo non portava la maglia di centravanti, sebbene fosse un papa da sfondamento. No, il calcio non c’entra niente, il numero nove è un’altra cosa.. lo vedremo poi.
4 agosto 1903, un martedì non come tanti altri. Ci troviamo a Roma, Città del Vaticano. E nella Città eterna ogni giorno ci potrebbero essere delle novità. Il sagrato e la piazza antistante la basilica papale di san Pietro sono gremiti di fedeli, curiosi, addetti alla stampa, di religiosi e preti. Si aprono le vetrate della loggia delle benedizioni. Un grido risuona: “Habemus papam”. Dopo sette scrutini i signori cardinali eleggono come sostituto di Leone XIII, Giuseppe Melchiorre Sarto, patriarca di Venezia. Prenderà il nome di Pio X. Sceglierà come motto: “Instaurare omnia in Christo“, preso da un brano di una delle lettere di san Paolo. Non sarà un papato lungo, circa undici anni; undici anni di lotte intestine, dolore e di delusioni cocenti, di progetti finiti nel cestino. Ma chi era Giuseppe Melchiorre Sarto? Nasce a Riese, una città di 11.000 anime ai piedi del monte Grappa, il 2 giugno 1835. La sua famiglia era numerosa, come si usava una volta nelle famiglie patriarcali. Giuseppe era il secondo di dieci figli. Il papà si chiamava Giovanni Battista. La madre, Margherita Sanson aiutava il consorte, messo comunale e fattore, a mantenere la famiglia facendo la sarta. Educato cristianamente dai genitori, Giuseppe sentì presto “la chiamata alle armi nell’esercito di Cristo”. A vent’anni entrò in seminario a Padova e ricevette la tonsura. Fu ordinato sacerdote nel 1858 dal vescovo di Treviso.
Fu subito mandato a fare esperienza pastorale come cappellano e poi come arciprete e canonico della cattedrale di Treviso. Vista la sua innata competenza il vescovo lo chiamò a sé come suo cancelliere e volle che si impegnasse come direttore spirituale del seminario diocesano, di cui serbò in cuor suo un dolcissimo ricordo. “Dall’albero si riconoscono i frutti”, evidentemente le radici erano ottime e diede frutti gustosi. 1884 consacrazione a vescovo e impegno come pastore della diocesi di Mantova. Cominciava a intravedersi un futuro glorioso. Il Signore lo stava preparando ad un incarico importantissimo. “Le vie del Signore non sono le nostre vie.” (Is 55, 8-9). A Venezia Giuseppe Sarto è chiamato alla cattedra sotto l’egida del leone di san Marco: è il Patriarca. Si raccontava per i corridoi delle curie e dei palazzi, che il governo italiano puntò i piedi, su questa nomina, facendo leva sull’esclusività che tale diritto spettasse al Re soltanto. Dava sicuramente fastidio il fatto che a proporre il Sarto, come Antistite della diocesi della Serenissima, fosse addirittura il governo austro-ungarico. Dovette aspettare quasi 18 mesi prima di insediarsi totalmente. Assieme al patriarcato con tutte le rogne annesse arrivò nel Concistoro del 1893, la berretta cardinalizia e la creazione a cardinale. Il bastone e la carota, insomma. Il 20 luglio del 1903, chiude gli occhi per sempre il novantatreenne papa Leone XIII, che guidò la barca di Pietro per 25 anni. Come al solito, e lo si vedrà nei prossimi conclavi, chi vi entra papa ne esce con le pive nel sacco. Fu così per il segretario di stato Rampolla; papabilissimo, un cavallo vincente nella Tris del conclave.
Ma “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. L’imperatore Francesco Giuseppe, usando un antico privilegio, quale sovrano di un impero cattolico, pone il veto all’elezione del prelato Rampolla e in concreto gli “mette lo scettro tra le gambe”. Stupore, indignazione a tale sgarbo. Di fatto l’elezione andò a vuoto e tutti i suffragi caddero dal Cielo, come manna nelle mani incredule di Giuseppe Sarto. Il 4 agosto, come avevamo già scritto, fu eletto al soglio pontificio e incoronato il 9. Il nostro santo non è certo uno da farsi crescere le ragnatele tra le braccia. Abolisce, con la Costituzione apostolica Commissum nobis, il decreto ius esclusivae, l’antico privilegio dei sovrani cattolici di impedire o proibire elezioni pontificali. Papa Pio X lottò con tutte le sue forze contro il modernismo attraverso il decreto del santo Ufficio, Lamentabili sane exitu e l’enciclica Pascendi Dominis Gregis, a cui fece seguire l’approvazione Sodalitium Pianum, una commissione di informatori e scrutatori che indagava su teologi e docenti sospettati di modernismo. Riformò il Diritto Canonico, redisse personalmente il Catechismo e fu sempre lui ad unire le offerte giunte con l’obolo petrino con quelli del patrimonio del Vaticano. Con la Costituzione apostolica Sapienti consilio riformò la Curia romana. Non era un tipo che si fermava a contemplare le sue opere. Riforma, con il Motu proprio, Inter pastoralis sollecitudines il canto gregoriano, imponendolo nella liturgia e fornendo suggerimenti e istruzioni per l’uso della musica sacra. Ma credo, a parer mio, una delle opere più importanti e nobili di cui dobbiamo rendere grazie e onore a san Pio X, è il massimo forzo per il ripristino della età della Prima Comunione e della Prima Confessione, con l’uso della ragione, a circa sette anni. Con la bolla Divino Afflatu, il nostro santo approvò e riformò il breviario romano. A tagliare le gambe al nostro papa, furono le avvisaglie degli imminenti scontri bellici.
Nuvoloni neri imperversavano l’orizzonte sul soglio di Pietro. Non erano bastati la “questione francese” e la guerra italo turca ad affrancare e a peggiorarne la salute e minarne la condizione fisica. Non c’è pace. I nuvoloni sono diventati temporali concreti. A Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando viene massacrato a colpi di pistola assieme alla moglie da un attentatore, il serbo-bosniaco Gavrilo Pricip: da questo gesto folle si scatenerà la Prima Guerra Mondiale, con conseguenze post belliche disastrose. Fu lo scontro tra le nazioni a peggiorare le cose. Per il papa, già da tempo sofferente di gotta e alla soglia degli ottantenni, fu il colpo di grazia. Il suo stato di salute peggiorava ogni giorno. Bronchite, la sopracitata gotta che non gli dava tregua, e la polmonite acuta che prese il posto della bronchite, se ne andò al cielo, nella notte tra il 21 agosto e il giorno seguente del 1914.
Il suo papato durò 11 anni rompendo così una insolita sua cadenza, nella durata dei precedenti incarichi, durati stranamente, sempre nove anni: 9 anni in seminario, 9 come cappellano, 9 da parroco, 9 come canonico e direttore del seminario, 9 da vescovo di Mantova e 9 per il patriarcato veneziano. Era indicato da molti come il “papa santo”. Correvano voci che già in vita, le sue vesti avessero percepito un potere taumaturgico. “Sono Sarto non santo”. Fu beatificato nel 1951 e reso santo dallo stesso pontefice, Pio XII. La sua urna con le sue spoglie si possono venerare in basilica san Pietro; uno dei primi altari a sinistra entrando dal fondo della navata.
“Instaurare omnia in Christo” (restaurare ogni cosa in Cristo – Ef 1, 10)