Dalla Chiesa
Santa Cecilia, patrona dei musicisti
Per grazia specialissima il nome di santa Cecilia è stata inserita nell’elenco insieme alle sette martiri nel messale romano. È venerata sia da cattolici che da ortodossi.
Nasceva in Roma, per questo l’aggiunta di Romana. È una esclusiva di Roma, un distinguo, un vezzo ai suoi santi o beati nati nell’Urbe, vedi santa Francesca Romana, santa Paola Romana. Nasceva intorno al II secolo d.C., da una famiglia nobile romana. In Roma, a Trastevere, troviamo la basilica a lei dedicata: santa Cecilia in Trastevere. Giovanissima, come è nelle più famose tradizioni del tempo e ahimè nella vita dei nostri santi, fu data in sposa a un tizio di nome Valeriano.
Si narra che il giorno delle nozze nel palazzo o casa natale della nostra santa risuonassero canti accompagnati da strumenti musicali; la giovane Cecilia cantava, in cuor suo, sottovoce al Signore:
“Conserva immacolati il mio cuore d il mio corpo, affinché io non resti turbata, confusa”…
Da questo particolare è stato tratto il vanto di protettrice dei musicanti. Si confidò senza paura al suo sposo. Anch’egli si convertì al cristianesimo e nella prima notte di nozze fu battezzato per mano e per la preghiera del vescovo di Roma, Urbano I. Tornato nella sua dimora, Valeriano vide Cecilia prostrata nella preghiera con un giovane: era un angelo che da sempre vegliava su di lei. Forse un po’ ingelosito e sospettoso, fresco fresco di nozze, Valeriano chiese un segno della sua vera natura celeste. Fu accontentato: allora questi fece apparire dal nulla due corone di fiori e le pose sul capo dei due sposi. Ormai convinto, pregò che anche il suo fratello Tiburzio ricevesse la stessa sua grazia del battesimo. E così fu. Valeriano e Tiburzio, educati alla fede cristiana, si distinsero per la pietas… alla sera si dedicavano alla sepoltura dei cadaveri di qualsiasi ceto o tipo di morte o dovunque li trovassero. Li avrebbero sotterrati e poi si sarebbero fermati a pregare un istante per le loro anime. Il giudice pagano Almachio Severo aveva proibito assolutamente di fare certe cose con la minaccia e l’arresto. Scoperti vennero presi e imprigionati. Lì nel tetro carcere diedero esempio di profonda fede. Nonostante fustigati e battuti con le verghe non rinnegarono la loro appartenenza al Signore convertendo l’ufficiale Massimo Terzo, che seguì anche lui i due fratelli nella morte per decapitazione.
Cecilia pregò sulla tomba del marito, del cognato e dell’ufficiale Massimo (tutti e tre si festeggiano il 14 aprile) e così si fece scoprire. Catturata e processata, davanti al giudice Almachio Severo ascoltò la sua condanna a morte: sarà arsa su una pira. Legata al palo del supplizio Cecilia innalzava lodi al Signore. Il giudice le impose il silenzio e convertì la pena per decapitazione. Fu slegata e fatta inginocchiare davanti al carnefice che vibrò tre colpi (questi erano da contratto per ogni uccisione, il boia doveva uccidere la vittima con tre colpì) ma gli andò male perché Cecilia era ancora viva… rimase agonizzante per tre giorni, poi il Signore la accolse con lui.
Papa Urbano I, suo mentore spirituale, di nascosto, riuscì a portarla via e a degnarle di una sepoltura nelle catacombe di san Callisto lungo la via Consolare oggi chiamata via Appia antica. Nell’821 le spoglie furono traslate nella basilica a lei dedicata da papa Pasquale I. Nel 1599 durante i restauri venne trovato un sarcofago con il corpo di Cecilia incorrotto emanante un profumo soave di rose e gigli. Il cardinale Emilio Sfrondati che ordinò i restauri, commissionò a Stefano Maderno una statua che riproducesse fedelmente l’aspetto e la posizione del corpo così com’era stata trovata: la testa girata da una parte per la decapitazione e nella mano destra le tre dita che indicherebbero la Trinità, o per altri, i tre colpi usati per ammazzarla. La statua in marmo bianco, la trovate sotto l’altare maggiore.