Seppellimento feti. Un babbo: “L’atto più giusto che potessi fare”

Accogliendo il desiderio espresso da alcune mamme, alcuni volontari venerdì scorso hanno organizzato, ancora una volta, il seppellimento di alcuni piccoli feti morti prematuramente. Le piccole bare questa volta erano sei.

Due coppie di genitori e una madre erano presenti: “È stato di grande aiuto avere vicino qualcuno che ci ha informato della possibilità di seppellire nostro figlio in questa fase prenatale e accompagnato in un momento così difficile, quando pensieri e sentimenti ci sovrastavano. Avere avuto qualcuno che si è preoccupato per te di preparare ciò che occorre per realizzarlo e trovarmi qui oggi con il mio piccolo e con voi al nostro fianco è veramente un dono immenso, anche se nella sofferenza”. Così dice una madre presente.  

Un volontario dell’associazione Papa Giovanni XXIII commenta: “È stato un momento intenso. I genitori presenti hanno tenuto in braccio per tutta la celebrazione dell’eucarestia la piccola bara, stretta al proprio corpo, abbracciata e accarezzata come se fosse il loro piccolo, in un saluto che non avrebbe mai voluto terminare. Commovente, molto significativo, una porta aperta all’inizio dell’elaborazione del lutto”.

E prosegue: “Nelle formazioni che riceviamo come Papa Giovanni XXIII da tecnici esperti, ci insegnano che per i genitori questo è un tempo e un luogo prezioso in cui hanno la possibilità di esprimere, accogliere, riconoscere e legittimare il dolore. Questo darà loro la possibilità di trovare le parole per rompere il silenzio e la solitudine che diversamente possono sembrare incomunicabili”. 

Dopo la celebrazione è avvenuto il seppellimento, in un clima di profonda accoglienza e ascolto del pianto e del dolore dei genitori presenti e nel rispetto della volontà di quelli non presenti che hanno espresso il desiderio di dare un luogo fisico preciso ai loro piccoli.

Una mamma che dopo due aborti spontanei, un figlio nato, ha vissuto il terzo potendolo seppellire, confida: “Dopo la mia pancia, adesso il mio piccolo Dante è lì, e se anche ne faccio spesso memoria nel mio cuore senza recarmi al cimitero, quello rimane un luogo di cura, cura di ciò che è stato, cura di ciò che resta di lui, cura di un sogno che per quanto breve è stato bellissimo. Cura di un dolore su cui, a volte, soffermarsi è terapeutico. È il luogo dove possiamo immaginare di rivolgerci a lui, e dove, con lui, abbiamo virtualmente riposto i suoi fratelli mai nati”.

Il papà di questo figlio continua: “Abbiamo saputo che avremmo potuto seppellirlo, e questa ipotesi ci ha colti impreparati e ci ha spiazzato ulteriormente. Avevamo già attraversato momenti come quello e nessuno ci aveva prospettato questa possibilità. Seppellirlo mi sembrava impegnativo. Impegnativo nell’organizzare tecnicamente la cosa, impegnativo per il resto della vita. Avere un luogo mi avrebbe impedito di prendere la strada più facile che la vita di oggi ci propone, dimenticare o cercare di non pensarci. Il fatto che non ci sia nessun obbligo morale mi avrebbe reso libero di non pentirmi in seguito… Nonostante le perplessità iniziali, la sepoltura è stata per me l’atto più giusto che potessi fare, il mio modo per prendermi cura di lui nel limite delle mie perplessità umane e il luogo fisico in cui possa abbracciarlo e con lui abbracciare anche i suoi fratelli mai nati. Nell’andare a trovarli o anche solo nel pensarli, mi accorgo che sono loro che in realtà si prendono cura di me”.

Si ha conoscenza di genitori che sono venuti nel luogo del seppellimento dopo anni dall’avvenimento. Infatti solo loro, tramite il documento di riconoscimento, possono chiedere al Cimitero il riferimento del luogo in cui è seppellito.

“Auspichiamo – dicono in conclusione i volontari – che questo percorso per il seppellimento dei feti morti prematuramente si definisca e si chiarisca garantendo a tutti i genitori che lo desiderano la possibilità di poterlo vivere e realizzare anche nelle altre Diocesi della Romagna”.