Cesena
Similalgebra, la proposta del professor Mauro Spadolini
Pubblichiamo di seguito l’intervento di Mauro Spadolini, già professore di elettrotecnica generale, macchine elettriche e laboratorio all’Itis Blaise Pascal di Cesena, richiamato nella pagina 15 del Corriere Cesenate in edizione cartacea in edicola da oggi.
Le basi per far sì che lo studio della matematica e della fisica dopo la scuola dell’obbligo non risulti “difficile” si mettono nella scuola primaria, dove però sarebbe auspicabile ‒ certamente prima dell’eventuale uso di tecnologie moderne ‒ che tre moltiplicato per due facesse sempre sei. Invece attualmente succede che nella scuola primaria quella moltiplicazione fa sei in seconda, mentre in quarta, quando si calcola l’area di un rettangolo, fa quasi sempre sei metri quadrati. Questo perché gli autori dei testi e i maestri di matematica non decidono se fare aritmetica astratta (3 x 2 = 6) o invece aritmetica concreta (3 m x 2 m = 6 mq) e con questa indecisione finiscono con lo scrivere una gran baggianata: 3 x 2 = 6 mq.
Di conseguenza non ci si deve stupire quando, invece di scrivere “cinque per mille” (che sta per 5/1000 ovvero 0,005), siano tanti gli adulti che scrivono 5×1000, cioè 5000. È uno dei tanti esempi che dimostrano quanto siano importanti i primi anni di scuola, perché nel seguito degli studi non si torna più su questi argomenti e si può così rimanere pressappochisti per tutta la vita. Si arriva a disertare gli studi che richiedono dimestichezza con la matematica e la fisica, evitando l’iscrizione a ingegneria, fisica e matematica e simili, e, ancor prima dell’università, molti decidono di non iscriversi al liceo scientifico o all’istituto tecnico industriale.
Sappiamo, e lo si legge anche sul sito «similalgebra.wordpress.com», che a scuola i piccoli iniziano ad apprendere la matematica con i conteggi di cose e animali, come è corretto fare, anche perché nel corso della storia è successo così. Si viene però a sapere che quando si formalizzano quei conteggi e si calcolano le prime somme e i primi prodotti, i libri di testo e i maestri di matematica continuano ad essere quanto mai approssimativi, perché rimandano agli anni successivi l’uso della simbologia internazionale e dell’aritmetica concreta, che è l’unica in grado di far corrispondere lo scritto al parlato. Insegnano invece a dire una cosa e a scriverne un’altra. Rinunciano anche a spiegare in cosa consista l’algebra, cioè a dire perché nelle formule si usano le lettere ‒ a cominciare dalla formula più semplice: A = b h ‒ così come, quando si riporta un dato su un foglio (h = 25 m, ad es.), non si dice che la prima lettera è il simbolo di una grandezza e la lettera finale, invece, è il simbolo dell’unità di misura, che quasi sempre si scrive dopo il numero, cioè dopo il valore di quella grandezza.
I libri di testo e i maestri non spiegano poi che il numero N di qualcosa è la prima “grandezza” che s’incontra a scuola e che il nome delle cose o degli animali dello stesso tipo di quei primi conteggi sono già una seppur grossolana “unità di misura”, che ha come simbolo la prima lettera del nome in inglese: il simbolo di “una mela”, ad es., è la lettera “a”.
Si tratta, ben inteso, di unità di misura grossolane, perché raramente gli oggetti e gli animali che entrano in gioco sono proprio uguali fra loro; di fatto sono quasi uguali. Le unità di misura della geometria e della fisica, invece, sono ben definite, tanto che il grado angolare e il metro, ad esempio, sono gli stessi in qualsiasi parte del mondo.
L’aritmetica concreta non viene però usata nella scuola primaria perché qualche didatta ha pensato che i maestri di matematica non siano capaci di essere coerenti e precisi ‒ come si deve essere per poterla usare ‒ e quindi neppure in grado di insegnarla. Invece l’aritmetica concreta è semplice ed è fatta di numeri concreti (come il “25 m” dell’esempio precedente) che sono gli unici numeri in grado di dire, da soli, di cosa si parla. I numeri concreti vengono usati da tutti in ogni occasione, anche nei primi anni di scuola (Cesena dista “12 km” da Cesenatico).
Dato che nella scuola dell’obbligo tutto ciò dura da tempo, ci sono molti adulti, finanche laureati, che non si rendono conto che i numeri concreti e l’aritmetica concreta si trovano anche su tutte le bollette dell’acqua, del gas e dell’energia elettrica, su tutti gli scontrini che la bilancia stampa quando si fa la spesa al reparto frutta e verdura del supermarket, sugli scontrini dei parcheggi, ecc. Anche i medici usano i numeri concreti quando prescrivono due compresse al giorno (2 c/die).
Alcuni dei didatti di cui sopra arrivano addirittura a scoraggiare l’uso dei numeri concreti nei primi anni di scuola e quindi anche della conseguente aritmetica concreta, dicendo che non va bene utilizzarli/a perché, se l’addizione di due mele e tre mele porta alla somma corretta di cinque mele (2 a + 3 a = 5 a), la moltiplicazione, invece, porta al prodotto “6 a al quadrato” (2 a x 3 a = 6 aq), che però, pur essendo anche questo un calcolo corretto, secondo loro “non va bene”, perché… la mela al quadrato non significa nulla. Si veda alla nota 4 di pagina 8 del primo pdf del sito perché questo “divieto” ‒ attualmente rispettato da tutti i libri di testo e maestri di matematica ‒ è doppiamente… stupido.
Per farla breve tutti i maestri di matematica dovrebbero sapere e insegnare che:
1 – Esistono i numeri astratti: 2, π, 1000, ecc. e i numeri concreti: 2 m (due metri), π rad (pi greco radianti), 1000 L (mille litri, vale a dire un chilolitro), ecc. Con i primi si fa aritmetica astratta, la solita aritmetica che tutti noi conosciamo, con i secondi si fa aritmetica concreta, cioè l’aritmetica che fanno tutti gli adulti anche senza rendersene conto:
s = v x t = 50 km/h x 2 h = 100 km, dato che h/h = 1).
2 – Solo con l’aritmetica concreta (usando cioè i numeri concreti – valori e unità di misura) si riesce a scrivere come si parla e a parlare come si scrive. È strano ma oggi nella scuola dell’obbligo questa corrispondenza non c’è quasi mai: si dice una cosa e sa ne scrive un’altra!
3 – È facile spiegare che “2 m + 3 m = 5 m” è aritmetica concreta, fatta con numeri concreti, e che “2 + 3 = 5” è aritmetica astratta, fatta con numeri astratti. “a + b = c”, invece, è algebra, che è ancor più astratta dell’aritmetica astratta in quanto è un’ulteriore generalizzazione dell’aritmetica concreta, la quale rimane comunque il punto di partenza, perché “aderisce” perfettamente a quanto si dice.
4 – Tutte le formule sono equazioni e quindi sono algebra.
5 – Le formule di geometria “funzionano” esattamente come le formule di fisica. Non per niente è corretto dire che la geometria è il primo capitolo della fisica.
6 – Nelle formule di geometria, di fisica, ecc. le lettere sono i simboli delle grandezze geometriche, fisiche, ecc. e rappresentano tutti i casi possibili, perché questo è ciò che si ottiene con l’algebra. Se nelle formule ci sono dei numeri sono quasi sempre costanti di proporzionalità.
7 – Nei casi specifici, invece, le lettere (i simboli) delle grandezze vengono sostituite/i da numeri concreti, dove il numero rappresenta il valore della grandezza, mentre la lettera rappresenta la relativa unità di misura, quella scelta per la grandezza nell’occasione: “a” se sono mele, “m” se sono metri, “kWh” se sono chilowattora, ecc.
8 – I calcoli con l’aritmetica concreta (2 m + 3 m = 5 m, dove m è l’unità di misura “metro”) si fanno come poi si faranno con l’algebra, quando sarà: 2m + 3m = 5m, con la lettera m che però, questa volta, non rappresenterà più un’unità di misura (il metro dell’aritmetica concreta), ma potrà rappresentare la grandezza “massa”, qualora si usi l’algebra durante l’ora di fisica, o anche nulla di ben definito, se siamo durante l’ora di matematica. L’aritmetica concreta viene chiamata anche similalgebra proprio perché i suoi calcoli si fanno come in algebra. Ma, come abbiamo visto qui sopra, il modo di scrivere è diverso: uno spazio fra numero e lettera con l’aritmetica concreta, nessuno spazio, invece, con l’algebra.
9 – Il numero N di qualcosa è una grandezza e quindi, se abbiamo sei mele, possiamo contarle e formalizzare il tutto con N = 6 a, dove si inizia con il linguaggio algebrico, perché N è la grandezza che può avere qualsiasi valore e qualsiasi unità di misura, e si finisce con un numero concreto (quindi un valore, un numero, che esprime la quantità del caso specifico e una unità di misura che ne esprime la qualità, che dice cioè di cosa si tratta).
10 – Insegnare a capire i testi scritti e a ragionare significa alzare di molto la qualità della scuola primaria e questa qualità comincia a formarsi “giocando” con i simboli (quasi tutti basati sulla lingua inglese) sia delle grandezze che delle unità di misura.
11 – Insegnare a formalizzare correttamente è quanto mai opportuno, perché senza conoscere il linguaggio fisico-matematico non si potranno capire bene i testi scritti, cosa che invece è necessaria per imparare in modo consistente e permanente.
12 – Bisogna insegnare a formalizzare correttamente da subito, perché così si guadagna tempo e si mettono basi solide, che saranno indelebili, perché fondate sul ragionamento e non su uno stupido, noioso e faticoso nozionismo.
Fortunatamente tutto ciò ed altro ancora è più semplice a farsi che a dirsi (data la gradualità e i cinque anni a disposizione) e se i punti precedenti sono risultati complicati significa che la scuola del passato non ha insegnato in modo approfondito e/o che il mio italiano non è stato… di qualità.