Suicidio assistito, monsignor Paglia: “Vuoto legislativo rischia di allargare la cultura dell’abbandono”

“La questione fondamentale del fine vita risiede nell’accompagnamento e nella terapia di tutti i sintomi che affliggono il malato”.  Non ha dubbi monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la Vita (Pav), che in una nota pubblicata oggi su “Avvenire” commenta la sentenza n. 135 della Corte costituzionale in materia di fine vita e suicidio assistito, depositata giovedì 18 luglio.

“Nella perdurante assenza di una legge che regoli la materia – si legge nell’incipit della sentenza – i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità alla ratio sottostante a quella sentenza”.

L’arcivescovo sottolinea che “le condizioni che definiscono il perimetro di non punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi” di procedere al suicidio” sono state “tutte ribadite”. Così come è ribadito “il criterio fondamentale che ha motivato la posizione della Corte per cui non si era riconosciuto un diritto in generale di porre fine alla propria vita in presenza di ogni patologia, anche grave e fonte di sofferenza. Piuttosto, si era ritenuto irragionevole impedire l’accesso a un aiuto per il suicidio a coloro che sono nella condizione di morire rifiutando o sospendendo trattamenti che assicurano la loro sopravvivenza. Una possibilità già prevista dalla Legge 219/2017. La presenza di tali trattamenti è dunque considerata necessaria per sostenere l’argomentazione”.

In questa sentenza, annota tuttavia Paglia, “si allargano un po’ le maglie della definizione di trattamento di sostegno vitale. Se ne parla non più solo riferendosi alla ventilazione assistita o alla nutrizione artificiale, ma anche evocando misure infermieristiche”.  Ma il problema vero è la mancanza di una legge. “Una proposta di legge che cercava di convertire in disposizioni normative la sentenza 242/2019, come punto di equilibrio plausibile in una società pluralista e democratica, non è stata approvata al Senato, dopo essere stata approvata alla Camera il 10 marzo 2022 – osserva il presidente Pav -. Il vuoto legislativo rischia di favorire l’allargarsi di una cultura dell’abbandono che porta verso l’eutanasia. Ecco perché, a mio parere, è urgente andare oltre il dibattito sulla legge”, senza però dimenticare che “la questione fondamentale del fine vita risiede nell’accompagnamento e nella terapia di tutti i sintomi che affliggono il malato. È quello che fanno le cure palliative, che sono ancora troppo poco conosciute e poco diffuse nel nostro Paese, nonostante la legge sia buona”.

La Pontificia accademia per la Vita ha edito poche settimane fa il volumetto Piccolo lessico del fine-vita (Lev) per favorire una maggiore consapevolezza sulle delicatissime questioni del fine vita. “Temi come la malattia, il dolore, la sofferenza richiedono un coinvolgimento ben più ampio della società e ben più oltre delle pur necessarie decisioni legislative. L’elaborazione del dolore, la solidarietà, la prossimità nei momenti critici è una responsabilità – conclude Paglia – che deve coinvolgere l’intera società, l’intera comunità”.

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