Summit Ue: toccata e fuga. L’agenda dei 28 leader e il ruolo dell’Italia

Neppure un giorno intero. Precisamente 23 ore e mezza. Tanto dovrebbe durare, stando al programma ufficiale, il Consiglio europeo del 20-21 giugno. I 28 capi di Stato e di governo arriveranno a Bruxelles per affrontare – sempre stando all’agenda protocollata – un’amplissima serie di questioni dirimenti per il futuro dell’integrazione europea: e se anche rimanessero attorno al tavolo del summit l’intera notte, avrebbero ben poco tempo per riflettere, discutere, decidere. Eppure di confronti serrati e di scelte lungimiranti c’è un gran bisogno.

Programmi di lavoro.

Il sito del Consiglio europeo afferma: “I leader dell’Ue si riuniranno a Bruxelles per prendere le decisioni pertinenti sulle nomine per il prossimo ciclo istituzionale e adottare l’Agenda strategica per il periodo 2019-2024”. Questa “Agenda strategica” (la pomposità nei termini non difetta) sarà “utilizzata per pianificare il lavoro del Consiglio europeo e rappresenterà la base dei programmi di lavoro delle altre istituzioni dell’Unione”. Inoltre i leader Ue “torneranno sulla questione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027”, discuteranno “di cambiamenti climatici in vista del vertice sull’azione per il clima convocato dal Segretario generale delle Nazioni Unite per il 23 settembre 2019”. Non basta: “Nel contesto del semestre europeo il Consiglio europeo discuterà delle raccomandazioni specifiche per Paese”, compresa la eventuale procedura d’infrazione per debito eccessivo verso l’Italia. “I leader prenderanno poi atto di una relazione sulla disinformazione e le elezioni”. Infine venerdì, dopo il Consiglio europeo, “i leader dell’Ue a 27 si riuniranno per un Vertice euro”.

A tutto campo.

Fin qui l’ufficialità. Ma dietro le quinte è a tutti chiaro che il summit non potrà ignorare le lacerazioni che vanno crescendo in vista della nomina dei “top job” dell’Ue (presidenti di Consiglio, Commissione, Parlamento, Bce, più l’Alto rappresentante per la politica estera). I capi di Stato e di governo non potranno neppure trascurare il fatto che un Paese membro – il Regno Unito – è politicamente in panne proprio in relazione alla sua appartenenza/uscita dalla stessa Ue. Non dovranno ignorare che la “strategia” per il futuro deve concretamente passare per un bilancio pluriennale all’altezza delle sfide che attendono l’Europa: perché un bilancio è lo specchio di una direzione di marcia e della capacità di produrre quei risultati che 500 milioni di cittadini si attendono dall’Ue e dagli Stati membri. Risultati che hanno a che fare – solo per fare qualche esempio – con la sicurezza e la politica di difesa, la gestione delle migrazioni, la competitività economica e l’occupazione, le regole della concorrenza, l’unione bancaria e il rafforzamento dell’euro, il nodo energetico e il contrasto ai cambiamenti climatici, la tutela della salute pubblica e dei consumatori, la costruzione dell’annunciato “pilastro sociale”, il problema della disinformazione che minaccia la democrazia europea, l’allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali, la presenza dell’Unione sulla scena mondiale, con uno sguardo particolare verso Africa e Medio Oriente.

Affinità e alleanze.

Temi, questi, che dovrebbero interrogare seriamente i leader dei Paesi aderenti (e tener deste le distratte opinioni pubbliche), in chiave di una ritrovata collaborazione, capace di “fare squadra” e di affrontare, insieme, queste stesse e altre sfide poste all’Europa nella presente fase storica. Ma è chiaro che in poche ore il Consiglio europeo non potrà che procedere a poche, superficiali analisi, assumere ancor meno decisioni, rimandandone altre di assoluta rilevanza. Forse il primo pensiero di presidenti e premier che giungono a Bruxelles è quello di spartire la torta delle alte cariche comunitarie, tessendo alleanze sulla base di affinità politiche e di interessi concreti. E su questo aspetto sarebbe interessante verificare il ruolo dell’Italia.

Quali prospettive per il Belpaese?

È chiaro che, arrivando al vertice Ue, il premier Giuseppe Conte non troverà ad attenderlo un tappeto rosso. La latente procedura d’infrazione per i conti pubblici fuori controllo; le insistenti polemiche dei vicepremier verso ogni regola comunitaria; i risultati delle elezioni del 26 maggio che assegnano all’Italia – giusto o sbagliato che sia – il ruolo di Paese “più euroscettico d’Europa”, rischiano di porre l’Italia in un angolo del tavolo per le trattative fra i 28, con la (quasi) certezza di perdere quei ruoli apicali che finora il Paese aveva ottenuto anche grazie ai governi passati: presidente del Parlamento europeo, presidente della Banca centrale, Alto rappresentante. Il nuovo ruolo dell’Italia in Europa si gioca al summit di questo fine settimana, così pure nella quotidianità di una politica che mantenga (non isoli) il Paese nel novero delle “potenze europee”.