Cesena
Teatro, Enigma. Requiem per Pinocchio
Prima la temperatura, poi il gel per le mani; sui volti, le onnipresenti mascherine. Si riapre il teatro “Bonci”, dopo 15 mesi di assenza, e anche se tutto appare uguale a prima, tutti sanno che ogni cosa è cambiata. Il bar del teatro, tanto per iniziare, è chiuso. Un piccolo dettaglio, che richiama alla mente del vostro cronista un numero vastissimo di serate in cui, tra una tazza di caffè e un amaro, ci si trovava a discutere, commentare, seriamente o per gioco, fra amici, conoscenti, baristi. Tanti ricordi premono sulla mente, solo a vedere quelle porte chiuse. Si rimane per pochi minuti nel foyer del teatro: i protocolli non prevedono che si rimanga a lungo nello stesso posto. Bisogna muoversi, dirigersi verso la propria sede. La platea, oggi, non si aprirà. Tutti nei palchi, o da soli o con i gruppi familiari. La scelta registica di Cesare Ronconi aveva previsto di usare la platea del “Bonci”, e quindi non sarebbe stato diverso, ma tutti sappiamo che, se anche la platea fosse utilizzabile, sarebbe in gran parte vuota per la necessità di tenere le distanze. Si entra nel palco, si osserva il grande vuoto della platea, il luminoso lampadario, le tante persone che occhieggiano dai palchi. Il “Bonci” è qui, è tornato, il pubblico è nuovamente al suo interno. Anche la mascherina dà meno fastidio, ci si sente quasi tornati a casa. Quasi: lo spettacolo inizia alle 19, per non infrangere il coprifuoco, e anche se dentro il teatro è buio, il corpo sa che non è quello l’orario in cui eri abituato ad andare a vedere gli spettacoli; anche questo è un elemento che segna il cambiamento dal passato. Pazienza. Lo spettacolo sta per cominciare.
Il Teatro Valdoca è una realtà apprezzata, amata, riconosciuta a livello nazionale e non solo; la sua scrittrice, Mariangela Gualtieri, ha avuto anche una fiammata di visibilità nazionale (oltre l’ambito teatrale e poetico in cui è ben nota e apprezzata) per la poesia scritta durante la clausura collettiva. Potrebbe parlare dell’oggi, questo spettacolo della Valdoca, e in parte lo fa. Ma in parte, si ricollega al tradizionale filone di questa compagnia di ricerca, che del teatro antico riscopre il filone sacrale e mistico. Il teatro greco nacque come fusione di due mondi: da una parte, la città, e la partecipazione democratica alla sua vita; dall’altra, il mondo degli dèi, e l’insondabile mistero delle azioni divine. Il teatro, da allora in poi, ha sempre avuto di fronte a sé queste due strade, la via della polis, della città, della realtà; e la via degli dèi, del divino, del misticismo. Il Teatro Valdoca segue questa seconda strada, e riesce quasi sempre nei suoi spettacoli, a volte in un solo momento, a volte per tutta l’azione, a vibrare di una dimensione soprannaturale.
Lo spettacolo, sviluppato durante l’epidemia, è ispirato al capolavoro di Collodi, al Pinocchio che tutti conoscono (o credono di conoscere). Naturalmente, il lavoro di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi prende solo gli spunti dal testo collodiano, lo rielabora, lo trasforma, per creare un grande affresco sull’età più misteriosa dell’umanità, benché sia la più studiata, cioè l’adolescenza. Il momento della trasformazione, in cui non si è più l’essere vecchio ma ancora non si è quello nuovo, il momento delle pulsioni, il momento in cui le forze della terra, le potenze generatrici della vita sono al culmine della loro selvaggia azione.
La platea è vuota. Un vasto telo bianco, macchiato di rosso, al centro. Una grande figura sdraiata (una bellissima scultura di Maurizio Bertoni); pochissimi personaggi emergono dalle tenebre, l’androgina Silvia Calderoni dà forma a Pinocchio, Matteo Ramponi incarna un possente Mangiafuoco, mentre Chiara Bersani, performer colpita da osteogenesi imperfetta, è insieme Grillo e Fatina. La voce, però, è quella di Mariangela Gualtieri, che legge i suoi versi, deformando la voce, alterandola, aggredendola, per trasmettere a Pinocchio e a noi spettatori le sue riflessioni sull’umanità. Lo stile è noto, ed è il sigillo dei testi di Mariangela Gualtieri: uno stile oracolare, che oscilla fra un lessico solenne e la voce delle piccole cose, per esprimere verità che sono di fronte agli occhi di tutti, e che nonostante ciò sfuggono sempre. Nel dettaglio, che una vita senza amore non ha senso, che la giovinezza è il momento in cui bisogna danzare, in un tutt’uno col mondo, che l’uomo non deve credersi così arrogante da poter fare a meno del creato che lo circonda.
Le parole di Mariangela Gualtieri sono solo una parte dello spettacolo, e forse non sono neanche la parte più importante: la coreografia, il canto (Silvia Curreli, Elena Griggio), la musica dal vivo (Attila Faravelli, Ilaria Lemmo, Enrico Malatesta), i giochi di luce, fanno entrare in una dimensione onirica di grande suggestione. Forse non avremo capito tutti i sottintesi di questo spettacolo, che in quanto opera di ricerca agisce più a livello subliminale che esplicito, ma senza dubbio questo Pinocchio ricreato dal Teatro Valdoca è stato un ottimo modo per riaprire il “Bonci”. Forse verranno in futuro spettacoli più tradizionali (forse; non ne abbiamo la certezza, ma il sospetto è che il vecchio mondo che conoscevamo non ritornerà più esattamente come prima), ma questa è stata una riapertura davvero memorabile.