Udienza papa Francesco per Pio VII Chiaramonti. “Ciò che distrugge la comunione è il chiacchiericcio”

In duemila, da quattro diocesi, in udienza da papa Francesco, in ricordo del Pontefice cesenate Pio VII Chiaramonti. L’occasione è stata fornita dai 200 anni della morte del Papa che si dovette confrontare con lo strapotere di Napoleone. In Diocesi di Cesena-Sarsina, il 20 agosto scorso, si è aperto l’anno chiaramontiano che ha, tra i suoi appuntamenti, la giornata odierna a Roma, in pieno svolgimento.

Dopo l’udienza che si è chiusa poco fa, oggi alle 15 in San Pietro il cardinale Mauro Gambetti, già superiore al santuario di Longiano (Forlì-Cesena) e ordinato sacerdote l’8 gennaio 2000 dal vescovo Lino Garavaglia, celebrerà la Messa all’altare della cattedra. Messa che sarà concelebrata dai quattro vescovi delle Diocesi che ebbero a che fare con Pio VII: la nostra, quella di Imola e di Tivoli, che guidò da pastore, e quella di Savona, nella quale venne tenuto prigioniero da Napoleone, dopo la prigionia in Francia e prima del rientro a Roma.

All’udienza di oggi hanno preso parte il cardinale Domenico Calcagno, i vescovi di Cesena-Sarsina, Douglas Regattieri, quello di Imola, Giovanni Mosciatti, quello di Tivoli, Mauro Parmeggiani e quello di Savona, Calogero Marino. Con loro tre abati: quello del Monte di Cesena, dove il futuro Pio VII fu monaco benedettino, Mauro Maccarinelli, quello di Subiaco, Mauro Meacci, e quello di San Pietro di Sores, Luigi Tiana.

Tra i numerosi sacerdoti dalla nostra Diocesi, uno dei più anziani, don Silvano Ridolfi, classe 1929 (nella foto qui sotto mentre saluta papa Francesco).

Con lui il vicario generale della Diocesi, monsignor Pier Giulio Diaco, il vicario episcopale per la pastorale, monsignor Walter Amaducci, l’economo don Marco Muratori, e il parroco della Cattedrale, monsignor Giordano Amati. 

Tra le autorità civili, il vicesindaco di Cesena, Christian Castorri, il sindaco di Sarsina, Enrico Cangini e la prima cittadina di Mercato Saraceno, Monica Rossi.

Francesco questa mattina ha stupito tutti per il ritardo con cui è arrivato (nella foto qui sopra un momento dei saluti). È comparso in sala Nervi alle 11, anziché alle 10 previste. Un’eccezione più unica che rara, abituati come sono tutti ormai, agli anticipi del Pontefice argentino.

Ha accolto Bergoglio il canto “Vieni qui tra noi” eseguito dal coro diocesano di Cesena, “Alma canta”, diretto da Nicoletta Bettini. Poi dai presenti in aula è partito un lungo “Francesco Francesco” che ha sciolto l’atmosfera.

Il Papa ha preso la parola e ha letto il discorso preparato, che alleghiamo in calce, tratteggiando la figura di Pio VII secondo tre parole chiave: comunione, testimonianza e misericordia. Nel salutare i vescovi, quando ha ricordato la Diocesi di Cesena-Sarsina, ha detto, fuori testo: “A Cesena sono stato”. Subito è scattato un lungo applauso dagli 800 pellegrini giunti dalle nostre parrocchie. Quindi ha letto un cartello esposto tra i fedeli in sala, dalla Diocesi di Imola: “L’unico che ci mette la faccia è il papa”. (La prima foto qui sotto)

(Un totale della sala Nervi)

Francesco ha fatto ricordo della famosa frase latina pronunciata da Chiaramonti: “Non debemus, non possumus, non volumus” (Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo) che dice della resistenza posta sempre da Pio VII di fronte alle angherie cui fu sottoposto da Napoleone. Ciò non gli impedì di dare rifugio alla famiglia dell’ex imperatore, dimostrando, in questo modo, una misericordia non di poco conto, sottolineata oggi anche dal Papa. 

Fuori testo Francesco ha accennato alle chiacchiere, anche quelle che si fanno nelle Diocesi. “Una cosa che aiuta tanto la comunione – ha sottolineato – è parlare bene. Ciò che distrugge la comunione è il chiacchiericcio”. In certi casi, ha aggiunto, vale la pena “mordersi la lingua. Morditi la lingua e farai un bel lavoro di unità della comunità. Papa Chiaramonti è stato un esempio di umiltà, modestia, pazienza e carità. Era un uomo molto intelligente, pio e furbo. Mandava messaggi nascondendoli nella biancheria e così guidava la Chiesa”. Sì, perché occorre anche essere “furbi come serpenti”, quando serve, la lezione di Francesco.

Nel giro tra i fedeli, alla balaustra, tra le centinaia di incontri, papa Francesco si è intrattenuto a lungo con il parrocchiano della Cattedrale di Cesena Walter Giorgini che da lontano aveva accennato al Pontefice. Contatto ravvicinato anche per il prof in pensione del liceo “Righi”, Otello Amaducci, che ha consegnato a Francesco il suo libro “Sulle orme dei Papi. Itinerari cesenati a Roma”.  

Al termine dell’udienza il vicesindaco di Cesena Castorri ha sottolineato due aspetti. “Mi ha fatto piacere – ci ha detto – che il Papa abbia ricordato la visita a Cesena del primo ottobre 2017. Inoltre, quello che ha messo in evidenza riguardo al parlare bene posso dire che vale anche per la politica”. (nella foto di Pier Giorgio Marini qui sotto il vescovo Douglas Regattieri con il vicesindaco di Cesena Christian Castorri, la sindaca di Mercato Saraceno Monica Rossi, il sindaco di Sarsina Enrico Cangini e l’assessore al bilancio per il comune di Cesena, Camillo Acerbi).

“Aver preso parte al pellegrinaggio nel bicentenario dalla morte di Pio VII – ha commentato il sindaco di Sarsina, Enrico Cangini – è stato rigenerante. Per me è stato anche un grande onore e una grande emozione aver potuto stringere le mani del Papa. Il Santo Padre ci ha spronato, sull’esempio del monaco Barnaba Chiaramonti, a essere coraggiosi e pronti al sacrificio, un messaggio particolarmente calzante per chi si occupa della cosa pubblica”.

A nome della famiglia discendente del Papa cesenate, presente oggi con le sorelle Sibilla e Alessandra con i mariti e cinque figlie, e la mamma Maria Cristina, ha rilasciato qualche battuta Sibilla D’Ottaviano Chiaramonti, figlia di Gregorio, morto tre anni fa. “Papa Francesco ha tratteggiato e ripercorso molto bene la vita di Pio VII segnata dalla fede, dall’umiltà e dalla misericordia, praticata nei confronti della famiglia di Napoleone. Un esempio, quello di Pio VII, di cui abbiamo bisogno e da seguire“. 

“Siamo onorati di fare parte del Comitato – ha aggiunto la signora Sibilla – che ha pensato questo anno dedicato al nostro predecessore”. Un Papa che era stato un po’ dimenticato, ma che ora riemerge in tutta la sua statura di uomo saldo nella fede e umile e misericordioso verso tutti. Qualità che prima o poi, sperano in tanti a Cesena, gli verranno riconosciute anche in maniera ufficiale. 

Di seguito pubblichiamo il discorso di papa Francesco, come da testo ufficiale diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Saluto i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli, venuti a ricordare il Servo di Dio Pio VII nel secondo centenario della sua morte, avvenuta il 20 agosto 1823. Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11). Uomo di notevole cultura e pietà, monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa. Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus», «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr PIO VII, Alloc. Ad supremum, 6).

Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia. 

Primo: la comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci. I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile. E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

E questo ci porta al secondo punto: la testimonianza. Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9). E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr SAN LEONE MAGNO, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

Veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia. Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative per il suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr PIO VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca. La medesima carità dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono. Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia.

Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace. Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio.

Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

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