Vaccari (Rondine): “Qua da noi si condivide tutto l’umano, l’umano integrale. Il conflitto è il nostro pane quotidiano”

“Il conflitto non è negativo. La guerra è una sciagura”. Parola di Franco Vaccari, fondatore di Rondine cittadella della pace, in provincia di Arezzo. L’ha sostenuto ieri sera in videocollegamento con il seminario diocesano per il secondo dei quattro incontri promossi dalla Caritas diocesana e dalla commissione diocesana Gaudium et spes.

“Un luogo che fa bene al cuore”, il titolo dato alla serata, come in effetti è Rondine, fondata nel 1997 dopo che vent’anni prima il borgo quasi abbandonato era stato affidato dal vescovo di Arezzo a un gruppo di giovanotti, come racconta Vaccari. “All’inizio vennero con noi disabili, immigrati, anziani, detenuti in semilibertà – prosegue il fondatore -. La svolta avvenne con l’invito in Russia da parte di Raissa Gorbaciov. Poi, nel 1995, ci venne chiesta una mediazione di pace durante la guerra in Cecenia”.

Le trattative durarono sei mesi, ma finalmente si giunse a un cessate il fuoco di 72 ore. Dopo solo 48 ore gli scontri ripresero. È in quel momento che a Vaccari venne chiesto di ospitare giovani ceceni. “Risposi – ricorda – di ospitare anche dei giovani russi. Accettarono la proposta e da noi vennero in cinque”.

Da allora il flusso di giovani provenienti da Paesi in conflitto non è più venuto meno. A Rondine arrivano persone dai 22 ai 28 anni, per un programma che dura due anni. È come frequentare un master post universitario, con in più la convivenza con chi sta dall’altra parte della barricata. “È capitato che alcuni – fa presente Vaccari – durante i due anni abbiano mollato. Si può capire: questa scelta è impegnativa ed esigente. Quando si torna a casa chi è stato qui viene visto come un traditore perché ha stretto legami con i nemici. Di certo si torna con una mentalità diversa”.

Due anni a Rondine e il mondo appare sotto un’altra luce. I vecchi amici diventano i nuovi nemici. La realtà è come capovolta. “Ognuno – prosegue Vaccari – quando torna nella sua società, cerca di cambiare la realtà attorno a lui”. In 27 anni di attività, da Rondine sono passati 300 giovani. Giovani che hanno condiviso tutto tra loro, anche “le lavatrici, cioè – nota il fondatore – anche le cose più sporche e intime, quelle che finiscono nelle lavatrici e che qualcuno non accetta. Si condivide tutto l’umano. Questa è una proposta di vita che mette insieme l’integrale umano”. E i giovani, “condividendo il dolore, cercano di trasformarlo. Tocca alla singola persona spezzare la catena d’odio e costruire speranza”.

A Rondine da nove anni possono frequentare il quarto anno delle superiori 30 ragazzi italiani. “Un’esperienza meravigliosa”, la definisce Vaccari, con studenti anche da Cesena. Una volta a casa, sono chiamati ad avviare un processo di cambiamento. Da tre anni, inoltre, 30 scuole in Italia hanno adottato il cosiddetto metodo Rondine, “per la trasformazione creativa dei conflitti. Se ci conosciamo, possono generare pace nella vita quotidiana, nelle nostre relazioni. La parola giusta è conflitto, la dimensione permanente della vita”.

I conflitti, secondo Vaccari, “sono da riconoscere e accogliere per poi saper trovare le energie giuste per superarli. Il conflitto è il pane quotidiano, un metodo di costruzione per tutti”.

Rispondendo ad alcune sollecitazioni, Vaccari ricorda il vescovo cesenate Giorgio Biguzzi, emerito di Makeni, deceduto quest’anno, “un maestro, un amico e un padre. Lui si innamorò, se così si può dire, di Rondine, e noi di lui. Una persona gigantesca, di un’umiltà stupenda. Nel nome di padre Giorgio, in Sierra Leone si apriva ogni porta”. Nella cittadella della pace monsignor Biguzzi inviò dieci giovani. Grazie a Rondine ho vinto la guerra del cuore, disse uno di loro che aveva compreso la necessità di andare oltre le guerre in atto.

I conflitti, invece? “Guai a evitarli – è l’ultima perla di Vaccari -. Le differenze ci inquietano, i problemi si risolvono, i conflitti si trasformano. La vita è tutto un incontro di differenze, ma l’energia vitale nasce dai conflitti. Parole e ascolti mettono in moto un pensiero. Sostare e ascoltare nei conflitti, per costruire un noi”. Un noi di pace da portare in ogni continente.

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