Vescovi Ue in preghiera per una Europa capace di prendersi cura di tutti

Una preghiera per l’Europa, soprattutto per i più poveri che la abitano. Per la pace nei Paesi vittime di guerre e violenze. Per i rifugiati e per “coloro che se ne prendono cura”. Per i responsabili politici perché sappiano prendere le loro decisioni “con saggezza, spirito di servizio, promuovendo il bene comune e prestando attenzione soprattutto alle fasce più vulnerabili, a chi non ha voce”. I vescovi delegati di tutte le Conferenza episcopali dell’Unione europea si sono uniti ieri sera, mercoledì 23 ottobre, in preghiera nella chiesa di Notre Dame du Sablon a Bruxelles, dove è stata celebrata una “messa per l’Europa” che ha dato il via all’Assemblea d’autunno della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea) . “Proprio in questi giorni l’Europa affronta una tappa nuova con un nuovo Parlamento e una nuova Commissione”, ricorda padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Comece. I vescovi si confronteranno su “come contribuire, come Chiese in Europa, al processo europeo, per favorire un clima di dialogo, di ascolto, di accompagnamento, per essere oggi, in questa terra, una voce profetica”.

L’Assemblea è stata scossa dalla notizia del ritrovamento a Londra di 39 corpi trovati senza vita in un container. La tragedia è avvenuta in una zona industriale dell’Essex, nel sudest dell’Inghilterra. Tra le vittime c’è anche un adolescente. Il camion proveniva dalla Bulgaria. Probabilmente anche questa tragedia è legata all’immigrazione clandestina.

“È uno scandalo che in Europa si possa morire ancora così”.

Più che rabbia, è un grido di orrore quello che pronuncia il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece. “E come cristiani non possiamo tacere. Mi chiedo: come parlare di identità cristiana se la gente continua a morire così e queste tragedie non ci toccano più?”. Il pensiero del cardinale Hollerich va subito ai responsabili politici. “I morti dicono, anzi gridano, che bisogna fare una politica della migrazione. Ma non basta: dobbiamo anche aiutare i Paesi da dove i migranti fuggono, predisponendo un grande progetto, un piano di aiuto”. Venuto direttamente da Roma, dove sta partecipando al Sinodo per l’Amazzonia, il cardinale avverte: “Il cambiamento climatico renderà questa situazione ancora più difficile e il numero dei migranti è destinato ad aumentare”.

“C’è un rapporto diretto tra la preghiera e l’impegno per creare mentalità e influire sull’elaborazione delle leggi”, afferma monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina e vice-presidente della Comece. La Chiesa che è in Europa non si volta dall’altra parte e si fa carico di tutto l’orrore e del dolore dei morti lungo le vie dell’immigrazione clandestina. Il vescovo italiano parla di “macabra scoperta” e ammonisce: “Nessuno fino ad oggi, in Europa e nei singoli Paesi, è riuscito a prendere in mano la situazione. Il vero nodo, che emerge da questo dramma, è che si rincorre l’urgenza, si piange sulla tragedia, ma non si prende nessuna decisione concreta per dare un’impostazione al problema che esca dall’approccio estremo del populismo o dell’accoglienza incondizionata. Si avverte più che mai l’urgenza di un impegno a gestire il fenomeno intervenendo nei Paesi di origine e regolamentando ingressi e presenze”.

“Non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco” nel cuore dei discepoli di Cristo. Sono risuonate le parole del Concilio Vaticano II nell’omelia di monsignor Czeslaw Kozon, arcivescovo di Copenaghen e delegato dei vescovi scandinavi. I cristiani in Europa? Devono essere “persone di speranza” e “fondamentalmente ottimisti”. Tuttavia, molte sono le cause che vanificano questo atteggiamento: la polarizzazione delle opinioni, i cambiamenti anche radicali nel panorama politico, la mobilità delle persone, l’irrilevanza che la religione ha per molte persone. “Non ci sono soluzioni rapide e facili per rispondere a tutto questo”. Ma anche quando le cose sono andate in modo sbagliato e irreversibile, la riconciliazione di queste ferite “non è solo un punto di partenza”, richiede “un processo permanente” ma possibile.