Dalla Chiesa
Via Crucis: suor Bonetti, siamo tutti complici dei “troppi calvari sparsi per il mondo”
Di fronte ai “nuovi crocifissi” di oggi e ai “troppi calvari sparsi per il mondo”, siamo tutti complici, con il nostro silenzio, la nostra ipocrisia e la nostra indifferenza. È una denuncia a 360 gradi, quella proposta da suor Eugenia Bonetti, nelle meditazioni scritte su incarico del Papa per la Via Crucis di quest’anno. Nelle pagine vergate dalla religiosa, non ci sono solo le vittime della tratta, ma i volti dei bambini, le “vie crucis” dei migranti, le storie di tutte le schiavitù del nostro tempo. Non ultima la triade “denaro, benessere e denaro”, ingredienti fondamentali delle nostre “cittadelle blindate”. L’unico antidoto possibile sono i “nuovi cinerei”, che in ogni angolo della terra restituiscono dignità a chi è stato sfigurato dalla vita. Come una mamma che si prende cura del suo bambino. Come Tina, Mercy o le 26 giovani nigeriane inghiottite dalle onde del mare a pochi passi dalla terra promessa, dopo aver attraversato il deserto e subito le torture spaventose dei centri di detenzioni in Libia. Le loro storie, come quelle dei migranti a bordo delle navi a cui viene rifiutato un porto sicuro, diventano un appello “ai capi delle nazioni e ai responsabili delle legislazioni”, affinché sappiano asciugare le loro lacrime.
I nuovi crocifissi. “I senza fissa dimora, i giovani senza speranza, senza lavoro e senza prospettive, gli immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostra società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite”. È l’elenco dei “nuovi crocifissi di oggi”, i cui accampamenti “vengono bruciati e rasi al suolo insieme ai sogni e alle speranze di migliaia di donne e di uomini emarginati, sfruttati, dimenticati”.
Le madri. Madri che “piangono per la sorte delle loro figlie e dei loro figli”, per “tutte quelle giovani vite, che in modi diversi, sono condannate a morte dall’indifferenza generata da politiche esclusive ed egoiste”. Madri che hanno lasciato partire le loro giovani figlie vero l’Europa nella speranza di aiutare le loro famiglie in povertà estrema, mentre hanno trovato umiliazioni, disprezzo e a volte anche la morte”. Nell’evocarle, suor Eugenia cita la giovane Tina, uccisa barbaramente sulla strada a soli vent’anni, lasciando una bimba di pochi mesi. Come lei, sono tante quelle madri “che soffrono per i loro figli che sono partiti verso altri Paesi nella speranza di trovare un’opportunità per un futuro migliore”, ma che invece “trovano umiliazione, disprezzo, violenza, indifferenza, solitudine e persino la morte”.
I bambini. “Quanti bambini sono discriminati a causa della loro provenienza, del colore della loro pelle o del loro ceto sociale!”. È il grido che risuona già nella seconda stazione. E i bambini sono i protagonisti anche della sesta stazione: quelli che, “non possono andare a scuola e sono, invece, sfruttati nelle miniere, nei campi, nella pesca, venduti e comperati da trafficanti di carne umana, per trapianti di organi, nonché usati e sfruttati sulle nostre strade da molti, cristiani compresi”. Come una minorenne dal corpicino gracile, incontrata una notte a Roma, “che uomini a bordo di auto lussuose facevano la fila per sfruttare. Eppure poteva avere l’età delle loro figlie”… Bambini, ancora, che “vivono nell’indigenza e nel degrado. Bimbi privati del diritto a un’infanzia felice, a un’educazione scolastica, all’innocenza. Creature usate come merce di poco valore, vendute e comperate a piacimento”.
La tratta. “La situazione sociale, economica e politica dei migranti e delle vittime di tratta di esseri umani ci interroga e ci scuote”, si legge nell’ottava stazione, in cui la religiosa esorta ciascuno di noi ad “avere il coraggio, come afferma con forza Papa Francesco, di denunciare la tratta di esseri umani quale crimine contro l’umanità”. Tutti siamo responsabili del problema, tutti “possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione”.
I trafficanti di schiavi. Gesù che, nella nona stazione, cade per la terza volta, sfinito e umiliato, diventa il simbolo di “tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni”. Come Mercy, sfinita in un angolo di strada della notte romana: “Se sua madre sapesse cosa è accaduto a sua figlia, piangerebbe tutte le sue lacrime”. “È troppo facile condannare esseri umani e situazioni di disagio che umiliano il nostro falso pudore, ma non è altrettanto facile assumerci le nostre responsabilità come singoli, come governi e come comunità cristiane,” la denuncia.
Denaro, benessere, potere: sono gli idoli di ogni tempo, ma soprattutto del nostro, dove “tutto è acquistabile, compreso il corpo dei minorenni”. Mentre nel mondo “si vanno alzando muri e barriere”, suor Eugenia ringrazia “coloro che hanno rischiato la loro stessa vita, particolarmente nel mar Mediterraneo, per salvare esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù”. L’ipocrisia è uno dei mali peggiori della nostra società. “Chi ricorda quelle ventisei giovani nigeriane inghiottite dalle onde, i cui funerali sono stati celebrati a Salerno?”, chiede suor Eugenia. “Chi ha pianto?”, la domanda provocatoria, la stessa rivolta dal Papa a Lampedusa nel suo primo viaggio apostolico. Siamo tutti responsabili, “con il nostro silenzio e la nostra indifferenza”.
I nuovi cimiteri. “II deserto e i mari sono diventati i nuovi cimiteri di oggi”, si legge nella XIV e ultima stazione. La piccola Favour ha solo 9 mesi. È l’unica sopravvissuta ai suoi giovani genitori in viaggio verso il Mediterraneo in cerca di un futuro migliore. Sulla loro rotta, hanno incontrato trafficanti senza scrupoli. Solo Favour, come Mosè, è stata salvata dalle acque. “La sua vita diventi luce di speranza nel cammino verso un’umanità più fraterna”, l’augurio pasquale di suor Eugenia.