Zaporizhzhia. Monsignor Ryabukha: “Non siamo arrivati al capolinea. Nulla è impossibile a Dio”

“Vogliamo sperare e lo vogliamo fare non solo con i pensieri, ma anche con i fatti. Vogliamo sentire che la vita ci attende, che non siamo arrivati al capolinea, che possiamo guardare avanti. Nulla è impossibile a Dio”. Raggiunto telefonicamente dall’agenzia Sir per un “punto” sulla difficilissima situazione sul fronte di guerra, da una delle zone più calde dell’Ucraina, Zaporizhzhia, le parole di monsignor Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, sono piene di vita e di progetti, nonostante le incursioni ucraine sul territorio russo, le minacce russe, le richieste del presidente Zelensky, il fumo nero che si intravede sulla centrale nucleare. “Per noi ormai è chiaro che la pazzia dell’occupazione russa non hai limiti. Non sai mai fino a dove possono spingersi. Ma è chiaro anche che non possiamo fermarci allo stupore degli eventi. Dobbiamo comunque continuare a vivere. È ovvio che c’è la preoccupazione su come potrà evolvere la situazione. Ma la speranza è l’unica arma in mano ai civili. Speriamo che a vincere sia la buona ragione. Speriamo che qualcuno sappia reagire, in primis la comunità internazionale, perché non è un gioco e una centrale nucleare non è un giocattolo da usare per mettere paura”.

L’appuntamento con monsignor Ryabukha è alla “pausa pranzo”. È infatti impegnato a tradurre due insegnanti italiani che dalla Lombardia sono venuti in Ucraina per tenere due corsi di formazione professionale sugli impianti elettrici. Anche questa attività – sottolinea il vescovo – si svolge sotto il “segno” di futuro. “Perché le case colpite dai missili hanno bisogno di essere ricostruite non solo nelle mura, spesso c’è la necessità di rimettere in funzione gli impianti elettrici e c’è bisogno di persone che lo sappiano fare”.

Il vescovo, 44 anni, salesiano, è appena tornato da un “tour” speciale fatto insieme a Marco Rodari, conosciuto nei Paesi attraversati dalla guerra come “Claun il Pimpa”: naso rosso e cappellino con l’elica è capace di strappare i più piccoli dall’angoscia della guerra per qualche istante, anche sotto le bombe o in mezzo alle macerie. “Con Marco Rodari – racconta il vescovo – abbiamo visitato i villaggi del nostro territorio dell’esarcato di Donetsk, da Zaporizhzhia, a Novodonetsk, a Dnipro, facendo festa e portando un sorriso a bambini che si trovano in quelle città o provengono dalle zone di guerra dove hanno vissuto in condizioni di rischio e pericolo”. Rodari – fa sapere il salesiano – sta proseguendo il suo “tour” a Kharkiv e farà anche tappa a Kiev,  dove visiterà l’ospedale pediatrico bombardato poco tempo fa. “Il sorriso di un clown ha la forza di sdrammatizzare il dolore e la paura. Ma i ragazzi, a differenza degli adulti, hanno la capacità di elaborare con più facilità l’esperienza del trauma e aprirsi alla vita. E questo dà speranza perché nonostante tutta la difficoltà che viviamo, siamo sicuri che questi ragazzi riusciranno ad uscire dalle macerie e ad andare avanti. La vita li attende”.

È vero, la vita – anche in questo angolo del Paese – è più forte e scorre, nonostante le minacce. Monsignor Ryabukha racconta dell’incontro delle comunità “Madri in preghiera” dell’esarcato di Donetsk dell’Ugcc che si è tenuto sabato 10 agosto, presso la parrocchia della Trasfigurazione del Signore a Novodonetsk. È una preghiera costante volta a sostenere “i nostri figli, le nostre famiglie ucraine, i ragazzi e le ragazze che difendono il paese, una pace giusta e tanto attesa”.  E tra le “buone notizie”, il vescovo salesiano cita anche l’ordinazione diaconale di Ruslanova Butenka che si è laureato quest’anno al Seminario teologico di Kiev. L’ordinazione si è tenuta il 6 agosto scorso, a Kamianske, nell’estremo est del Paese. “Sono tutti segni di grande speranza. Ci dicono che la Chiesa non muore e che anzi ci sono nuove vocazioni”, commenta il presule. ” Ci dicono anche che nonostante tutte le difficoltà, le macerie della guerra, gli occhi tristi dei bambini, le lacrime delle mamme e l’isolamento che inevitabilmente ogni conflitto genera, le relazioni rimangono vive”.

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