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Strage della Rocca. In un volume i misteri di un delitto

Intervista a uno dei due coautori, Mattia Brighi. Giovedì 16 maggio in Malatestiana la presentazione

La Rocca malatestiana dall'alto. Foto archivio Corriere Cesenate

Giordano Corelli; Fernando Pieri; Attilio Nicoloni; Edgardo Cendrini; Luigi Berardini; Leonenne Lombini; Francesco Semprini; Sergio Romagnoli; Cesare Richini; Rino Rosetti; Dante Bagnoli; Renato Gasperoni; Ernesto Buda; Guglielmo Zamagni; Primo Baiardi; Dino Zoffoli; Urbano Foschi.

Questi nomi non saranno noti a molti cesenati, ma queste 17 persone, loro malgrado, sono state le protagoniste di un episodio fra i più oscuri del recente passato di Cesena. Essi, infatti, sono le vittime della strage avvenuta alla Rocca di Cesena, nella notte fra 8 e 9 maggio 1945. Di loro, e di Iolanda Gridelli, uccisa, sempre alla Rocca, nel pomeriggio dello stesso 8 maggio, si occupa il volume curato da Mattia Brighi, ricercatore storico, membro del Comitato scientifico dell’Istituto storico per la Resistenza e l’età contemporanea, e Alberto Gagliardo, docente e ricercatore presso lo stesso Istituto. Il volume, Anatomia di una strage. Cesena, 8 maggio 1945 (ed. Clueb, pagg. 240, euro 28), sarà presentato giovedì 16 maggio nell’aula magna della Biblioteca Malatestiana di Cesena alle 17. Abbiamo incontrato Mattia Brighi per saperne di più.

 

Quali sono i fatti documentati?

Sappiamo per certo che Iolanda Gridelli, nata nel 1924, quindi assai giovane all’età dei fatti, era tornata a Cesena dal nord, dopo la fine della Repubblica sociale italiana, la mattina di quello stesso 8 maggio e fu prelevata da casa da partigiani perché riconosciuta come fascista e condotta alla Rocca, allora sede del carcere. Le testimonianze al riguardo sono estremamente divergenti: secondo alcuni, era inseguita da una folla inferocita in quanto accusata di essere una spia; secondo altri, era attorniata da gente calma. Persino l’itinerario seguito per raggiungere la Rocca, non è lo stesso secondo le diverse fonti. Sappiamo per certo che giunta alla Rocca fu uccisa, ma non venne torturata: lo dice il referto del medico legale. Anche il fatto che fosse incinta (secondo alcuni testimoni chiedeva di avere salva la vita, se non per lei, per il figlio che aveva in grembo) non è testimoniato dal documento del medico legale. Iolanda Gridelli fu uccisa, questo è certo, da un colpo di arma da fuoco. La morte avvenne nel primo pomeriggio. Quella stessa notte ci fu un assalto alla Rocca e 17 prigionieri vennero uccisi. Mentre per l’omicidio di Iolanda Gridelli il processo istruttorio della Corte d’Appello di Bologna si concluse con la sentenza di non luogo a procedere, per estinzione del reato a seguito di amnistia, nei confronti dei tre imputati (un processo molto superficiale perché alcuni degli imputati non vennero neanche ascoltati dai giudici); anche per il delitto della Rocca ci fu un procedimento giudiziario, ma gli esecutori rimasero ignoti.

Certo è che la modalità di azione fu molto simile a quella con cui, il 16 giugno 1944, vennero liberati alcuni partigiani dalla Rocca. Lo stesso modus operandi può far pensare che l’azione provenisse dallo stesso mondo.

 

Quale fu l’effetto della morte di Iolanda Gridelli e della strage alla Rocca?

Nell’immediato non vennero presi provvedimenti per l’omicidio della Gridelli, venne invece arrestato Fabio Ricci, ex partigiano e al tempo Commissario dell’epurazione, da parte degli Alleati ma, non avendo prove a suo carico venne rilasciato.

Si è detto in questi anni che Antonio Manuzzi, presidente del Comitato di liberazione nazionale di Cesena, si dimise in seguito a questo episodio, in realtà pose la questione delle dimissioni proprio in difesa di Ricci.  Manuzzi si dimise in autunno, quindi a notevole distanza cronologica dai fatti e per altre motivazioni. Dai documenti, a parte un manifesto a firma dei partiti componenti il Cln, non compaiono elementi che testimoniano una netta presa di posizione.

 

Di questi delitti si è parlato negli anni successivi?

Se n’è parlato a periodi alterni, ad esempio tenne una conferenza Sigfrido Sozzi negli Anni Ottanta in cui citò l’episodio, ma fino alla caduta del muro di Berlino il tema non era così sentito nel dibattito pubblico, al di là delle memorie di chi era dall’altra parte della barricata. Poi nel 2003 il volume di Pansa, Il sangue dei vinti, rilancia la pubblicistica sull’argomento. Nel volume, infatti, oltre ai fatti in sé abbiamo anche cercato di studiare come questi episodi sono stati raccontati, in particolare dalla stampa locale.

 

Qual è il quadro che emerge?

Tutti i giornali locali se ne sono occupati, ma il “Corriere cesenate” è stato quello che negli anni ha dedicato la maggiore attenzione a questo argomento. Don Lino Mancini fu fra i primi ad affrontare il tema delle violenze del dopoguerra. Anni dopo fu un articolo di Giovanni Maroni, uscito subito dopo il volume di Pansa, che trattò gli eventi di cui parliamo. In alcuni articoli occorre però fare chiarezza su alcune inesattezze. Oltre ai giornali locali, abbiamo dedicato la nostra ricerca anche a come l’argomento è stato trattato sui social network e sulle web-radio, per analizzare il fenomeno nel modo più ampio.

Di quali inesattezze si tratterebbe?

Ad esempio Giovanni Maroni sul Corriere Cesenate scrive che il riconoscimento dei cadaveri nei 17 fu difficile perché i corpi erano straziati, cosa che non attesta il medico legale. Un articolo più recente riporta la testimonianza di un bambino  che al tempo aveva dieci anni e che afferma di avere visto sulla salita che porta alla Rocca una persona col ventre lacerato dal quale fuoriuscivano le viscere. La ricerca ha constatato che questo era impossibile visto che quell'uomo fu ucciso il primo maggio. 

Quale riflessione emerge alla fine?

Che ogni episodio storico va inserito nel suo contesto e le fonti, soprattutto di derivazione opposta, vanno confrontate e vagliate attentamente, soprattutto quando si tratta di temi così delicati e dolorosi.

Inoltre bisogna nettamente distinguere la memoria pubblica dalla memoria privata: il ricordo dei cari, di ogni caduto, da ogni parte dello schieramento, è doveroso da parte di ogni persona, al di là delle loro scelte di vita, e bisogna rispettarlo in ogni circostanza. La memoria pubblica, invece, comprende tutti quei valori che sono propri di una collettività, nel nostro caso di una Repubblica che nasce dall’antifascismo dei vari partiti politici, e dalla Resistenza, a cui tutte le forze dell’arco costituzionale hanno contribuito.

 

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