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La recensione

Successo della compagnia “La brôza” al Bogart di Sant'Egidio

Tanti applausi per "Un fiol garavlè"

 “La brôza”

Dopo due anni di pausa, per colpa della pandemia, la compagnia di teatro amatoriale in romagnolo “La brôza” è tornata ad esibirsi in occasione della XXIX edizione del festival di teatro dialettale svoltosi presso il cine-teatro “Bogart” di Sant'Egidio, sabato 5 marzo.

La commedia messa in scena è stata un adattamento di un'opera originariamente scritta da Armando Curcio per Peppino De Filippo, “I casi sono due”, nel 1945. La trama è tradizionalmente incentrata su situazioni comiche: un barone, che ha passato la sua giovinezza a fare la bella vita, diventato vecchio scopre di avere un figlio, che non ha mai incontrato prima. Le ricerche sembrano indicare in Romano Casadei, che lavora proprio come cuoco alle dipendenze del barone, il figlio perduto. Romano è una persona molto furba, addirittura maliziosa: ladro, ingannatore, fa di tutto per ottenere vantaggi per sé. La rivelazione di essere figlio del barone non fa che rendere più sgradevole il suo carattere, vessando tutti i dipendenti del barone. A un certo punto, però, le indagini portano a una sconcertante novità: non è quel Romano Casadei il figlio del barone, ma un altro Romano Casadei, tonto, sordo e miope, che viene eletto erede della fortuna baronale con sommo dispiacere dello stesso barone, che al primo Romano si era comunque affezionato: da figlio ritornato cuoco, il primo Romano ordisce tutta una serie di vendette nei confronti del secondo Romano, che però non se ne vuole andare, aspirando lui pure alla ricca eredità. Solo la madre adottiva del perduto figlio del barone rivela un segreto: il vero figlio ha una voglia di cotica sulla natica destra. Il secondo Romano non ha questo segno, mentre ce l'ha il primo. Ed ecco, per la seconda volta, che da cuoco diventa erede del barone. A questo punto, però, temendo che una retrocessione possa accadere ancora, il figlio ritrovato pensa bene di andarsene portandosi dietro tutte le gioie della famiglia, dato che, come lo stesso barone gli aveva spiegato precedentemente, rubare al proprio padre non è nemmeno reato. Il barone e la consorte non potranno fare altro che consolarsi a vicenda. Almeno il barone manterrà il ricordo di Yvonne, la cantante da cui ebbe Romano.

Di fronte a un teatro pieno, con un pubblico che partecipava ridendo fragorosamente alle battute ed alle varie scene comiche, non si può che lodare la vivacità della compagnia, che dagli anni Novanta nel territorio romagnolo rappresenta un punto di riferimento per la qualità degli allestimenti, per scene, costumi e, soprattutto, recitazione. Entrando nel dettaglio, qualche cosa potrà migliorare, come le luci, un po' troppo intense e non sempre ben coordinate, ma di sicuro vanno lodati gli interpreti, a partire da Giancarlo Romagnoli (Romano Casadei), sempre preciso con la recitazione, la gestualità, la mimica: efficace, divertente, coinvolgente. Da lodare anche Angelo Sacchetti per il difficile ruolo del barone, perennemente presente in scena, in grado di impersonare in modo efficace una figura molto macchiettistica senza esagerare. Possiamo poi ricordare i domestici, Fausto Ceccarelli e Greta Amaducci, guidati dal maggiordomo (Luca Baldisserri), che devono interagire con il cuoco-barone Romano Casadei. Efficaci Mirella Boschi (moglie del barone), Licia Paolucci (investigatrice), Carla Merloni (madre adottiva di Romano Casadei) e Silvia Righi, nella difficile parte en travesti del secondo Romano Casadei. La regia, semplice ed efficace, è stata firmata da Daura Turci.

In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, una risata può essere un potente antidoto: anche per questo non si può che lodare “La brôza”, come hanno fatto i ripetuti applausi del pubblico, durante lo spettacolo e al suo termine.

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