conflitto
Attacco nella R.D. Congo. Da decenni il nord Kivu è terra di conquista di minerali e terre
È una strada molto pericolosa, dove avvengono spesso agguati e rapimenti quella dove è stato ucciso oggi l'ambasciatore Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista. Da decenni nella regione del Nord Kivu spadroneggiano gruppi armati che impongono la propria volontà per il controllo delle ricche risorse del territorio
“Da noi ogni giorno ci sono notizie di uccisioni, oramai a Butembo-Beni c’è sempre una carneficina, si muore come insetti”. È addolorato, ma non sorpreso padre Robert Kasereka Ngongi, sacerdote diocesano di Butembo, nel Nord Kivu, la regione dove è avvenuto oggi l’agguato al convoglio dell’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo Luca Attanasio, ucciso insieme a Vittorio Iacovacci, il carabiniere che gli faceva da scorta, e all’autista congolese del World food programme (Wfp). Stavano viaggiando a bordo di una autovettura in un convoglio della Monusco, la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo. I sette membri dell’equipaggio sono stati vittime di una imboscata a Kibumba, vicino Goma: secondo fonti locali sono stati portati nella savana dagli assalitori e sono morti durante una sparatoria tra il gruppo armato e le guardie forestali della zona. Gli altri quattro ostaggi si sono salvati, alcuni sono ricoverati in ospedale. I sette si stavano recando in visita ai programmi di alimentazione scolastica promossi a Rutshuru dal Wfp, una delle tante attività portate avanti in quelle zone per combattere la fame e la malnutrizione infantile.
Una strada molto pericolosa. La strada su cui viaggiava il convoglio dell’ambasciatore italiano è molto pericolosa. Accadono di frequente fatti di sangue così gravi. “Di solito su quella strada rapiscono persone importanti e poi chiedono il riscatto – spiega all'agenzia Sir il sacerdote congolese -. Forse hanno visto un bianco e hanno pensato che sarebbe stato un modo per avere dei soldi”. Due suoi confratelli della diocesi di Butembo-Beni – don Charles Kipasa e don Jean Pierre Akilimali, della parrocchia Maria Regina degli Angeli di Bunyuka – sono stati rapiti il 16 luglio 2017 e da tempo non se ne ha più notizie. Lo stesso padre Robert si è occupato della vicenda: “Inizialmente abbiamo dato dei soldi, ma non sappiamo se sono vivi e morti”.
Decenni di violenze e instabilità. Sono decenni che in queste regioni nord-orientali della R.D. Congo ci sono violenze atroci e instabilità, portate avanti da feroci gruppi armati, probabilmente al soldo di potenze straniere che si contendono le ricchezze minerarie della zona. Coltan, oro e diamanti prima di tutto. E le terre fertili dove si coltiva caffè e cacao, le foreste dove vivono i gorilla di montagna, usate per il carbone. Eppure se ne parla solo quando vengono coinvolti degli occidentali. “Dalla guerra in Rwanda nel ’94, con i tanti rifugiati arrivati nel nord Kivu la situazione è sempre la stessa: uccisioni, rapimenti, incendi a case e villaggi, violenze alle donne”, dice padre Robert. La Chiesa locale, i missionari comboniani, sono intervenuti con numerosi appelli in passato. Sempre inascoltati. Il sacerdote non si dà ragione del fatto che, nonostante la presenza delle forze Onu (Monusco), non si riesca a intervenire prima per evitare gli assalti e le violenze. Inoltre, “tra esercito e gruppi armati c’è molta complicità. A volte negli accampamenti dei soldati viene trovato ciò che è stato saccheggiato nei villaggi”.
Una crudeltà spaventosa. “Spesso gli assassini mandano in giro le foto delle stragi per far vedere a che livello di crudeltà sono capaci di arrivare – racconta -. Le persone si spaventano e scappano. Altri vengono a occupare le loro terre e coltivazioni”. Dal 2014 a oggi tra Beni e Lubero sono state uccise 2.700 persone. Secondo il sacerdote almeno 500.000 abitanti di Butembo e Beni, in maggioranza appartenenti all’etnia Nande, sono fuggiti, rifugiandosi in altre città del Congo, a casa di amici e familiari. Al posto della popolazione autoctona ora ci sono molti rwandesi.
Una sorta di far west alla conquiste di terre e risorse. Le materie prime vanno all’estero (il coltan nei nostri telefonini) e la popolazione locale viene sfruttata nelle miniere, dove lavora in condizioni disumane. Si pensa che i gruppi armati siano finanziati dall’estero, perché c’è chi trae grande vantaggio economico dalla situazione. Ma anche questa non è una novità. “Come mai il Rwanda è tra i primi esportatori di coltan, oro e diamanti senza avere questi minerali sul proprio territorio?”, si chiede il sacerdote: “Usano i gruppi armati per controllare le miniere, fanno lavorare la nostra gente come schiavi, poi tutto va fuori dal Paese. La violenza e la criminalità sono considerati degli effetti collaterali”.
L’appello: “Indagini serie e indipendenti”. Il vescovo della diocesi di Butembo-Beni monsignor Melchisedech Paluku Sikuli non si stanca di chiedere aiuto e reclamare giustizia. È lo stesso appello ripetuto oggi dal suo sacerdote diocesano, che da tre anni studia a Roma: “Servono indagini serie e indipendenti per verificare chi fa cosa. È solo questo è il punto”.
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