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Il teologo Chialà in duomo: "La speranza poggia su passato, presente e futuro"

Il primo incontro del percorso promosso dal vescovo Douglas si è tenuto venerdì sera. "La speranza è una lotta che richiede cammino. È generativa. Sanno amare solo coloro che sperano. Per noi la speranza ha tratti umani. È Cristo stesso"

Il teologo Sabino Chialà (comunità di Bose) accanto al vescovo Douglas Regattieri. Foto Pier Giorgio Marini

"L'incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude". Ha cercato di spiegare questo titolo, il monaco, teologo e priore della comunità di Bose, Sabino Chialà (nella foto qui sotto di Pier Giorgio Marini), intervenuto venerdì sera, 11 ottobre, in Cattedrale a Cesena, alla prima delle due catechesi proposte alla Diocesi dal vescovo Douglas Regattieri sul tema dell'anno pastorale dedicato alla speranza.

Proprio dall'11 ottobre parte nella sua riflessione il monaco Chialà. "Una felice coincidenza", la definisce. In quel giorno, nel 1962, si apriva il Concilio ecumenico vaticano II voluto da Giovanni XXIII. Ed è partito dal documento conciliare Guadium et spes che in apertura parla di gioie e speranza degli uomini di oggi. "Prima di tutto - precisa Chialà - dobbiamo riconoscere ed essere esperti in speranze e angosce" degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Come deve essere il credente, colui che deve dare la ragione della propria speranza, come scrive san Pietro nella sua prima lettera (3,15). "La speranza prima della fede -  dice il monaco -. Una speranza che ci apre. Chi non spera non è neppure uomo, come diceva il filosofo Filone di Alessandria. Uomini e credenti, mai un aspetto senza l'altro".

Se nell'Antico testamento, prosegue Chialà, "sperare significa guardare avanti poggiando su qualcosa di solido, nel Nuovo la speranza non è un concetto, ma assume tratti umani. È Cristo stesso". 

Mette anche in guardia il teologo. "La speranza - ammonisce - non è pensare positivo. Sarebbe solo frutto del caso. La speranza cristiana non è mai istintiva. Richiede ascesi. Si impara lavorando su se stessi. È una lotta che richiede cammino. Non è neppure negazione del presente. Non è una fuga in avanti. Si attende il Signore restando fedeli alla terra, ai bisogni dei nostri amici, di chi è in difficoltà. Non è un’illusione anestetizzante. Rifugio in un mondo di sogni. Una sorta di campana di vetro".

sabino chialà. foto marini

Cos'è allora la speranza? "È generativa - aggiunge subito Chialà -. Per essere autentica deve fare i conti con il passato (il primo aspetto, ndr) perché nasce dalla memoria del passato. La sua fondatezza è da cercare nel passato. Perché ricordiamo ciò che abbiamo vissuto. Si fonda su un’esperienza e su una promessa. La fede è fondamento delle cose in cui si crede, generata dall’esperienza dei doni di Dio".

Il primo esercizio proposto da Chialà è quello della memoria. "Ricordare che Dio ha dato segni di salvezza e compirà la salvezza - suggerisce -. Alzare lo sguardo e guardare oltre, con il passato nel cuore, come continuazione di una storia che ci precede. Uno dei più grandi peccati di oggi è vivere nell’oblio, senza memoria".

Secondo passaggio: osare nel presente (secondo aspetto). "La speranza - prosegue il teologo - deve permeare il presente. Se spero si vede da come vivo oggi, da come sono lievito nella vita quotidiana. Ma se non si è capaci di immaginare altro, ci sbraniamo su ciò che rimane". Invece, siamo invitate a "scavare il presente. La speranza è uno strumento di lotta spirituale. Sanno amare solo coloro che sperano.

Ecco allora la proposta di un secondo esercizio: "l'audacia di vedere ciò che non si vede - aggiunge Chialà. Andare oltre i nostri calcoli. Saper rischiare e mettere da parte il nostro buon senso. Esercitarsi a uscire da sé. Meglio vivere in battaglia per Dio che vivere nella fiacchezza. Calcolare va bene, ma occorre andare anche oltre". 

Terzo passaggio: attendere nella speranza il compimento, con lo sguardo rivolto al futuro (terzo aspetto). Chialà provoca gli oltre 200 presenti: "Quanti di noi sanno che siamo in attesa del compimento del Signore che ha promesso di tornare. È lì il cuore della nostra fede. Chiede il dinamismo della nostra fede: essere in attesa di qualcosa che viene da Dio", specifica il monaco.

Il terzo esercizio è quello della perseveranza, della capacità di rimanere, come dice san Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: "la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo". Sta, dice ancora Chialà, "nella capacità di durare anche ciò che non si comprende. Rimango anche se non capisco. Saper dimorare nelle domande inevase. Non dare mai al momento presente l’ultima parola". Poi ancora, con lo sguardo rivolto in avanti: "Dal futuro il credente attende il Cristo veniente, che ci viene incontro, non che verrà. Veniente, appunto".

Infine, conclude il monaco-teologo Chialà, "Dobbiamo saper attendere con perseveranza senza perderci d’animo, senza farci prendere dalla rassegnazione. Osare senza diventare impazienti". E chiude: sperare significa "osare per intraprendere vie nuove. Come accadde alle prime comunità descritte negli Atti degli apostoli". Si tratta di "una rivoluzione epocale", come capitò venti secoli fa. 

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