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Le ragioni degli altri

È trascorso un anno da quel 7 ottobre 2023, il giorno in cui i terroristi di Hamas hanno fatto incursione in Israele uccidendo a sangue freddo 1195 persone e portandone in ostaggio 255, nella Striscia di Gaza. Da allora si contano più di 40.000 vittime e milioni di sfollati per le distruzioni operate nella Striscia

Le ragioni degli altri

La guerra. Siamo ancora lì. Anzi, siamo più preoccupati che mai.

È trascorso un anno da quel 7 ottobre 2023, il giorno in cui i terroristi di Hamas hanno fatto incursione in Israele uccidendo a sangue freddo 1195 persone e portandone in ostaggio 255, nella Striscia di Gaza. Il giorno dopo ha preso avvio la risposta degli israeliani.

Da allora si contano più di 40.000 vittime e milioni di sfollati per le distruzioni operate nella Striscia. Ora tutti temono un allargamento del conflitto sia verso il Libano sia verso l’Iran, naturale alleato degli Hezbollah, i fondamentalisti islamici sciiti nati all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. La paura di una

escalation è fondata. Si vive giorno per giorno, con il fiato sospeso, temendo le notizie peggiori. Si aspetta la reazione annunciata da Netanyahu.

Sarà dura e sarà sproporzionata. Ma la vendetta non conosce misura. Sente sete solo del sangue. «Un anno fa è divampata la miccia dell’odio – ha scritto papa Francesco nella lettera ai cattolici di Medio Oriente inviata lunedì scorso ( cfr pag. 9 edizione cartacea) -. Non si è spenta, ma è deflagrata in una spirale di violenza, nella vergognosa incapacità della comunità internazionale e dei Paesi più potenti di far tacere le armi e di mettere fine alla tragedia della guerra. Il sangue scorre, come le lacrime; la rabbia aumenta, insieme alla voglia di vendetta, mentre pare che a pochi interessi ciò che più serve e che la gente vuole: dialogo, pace».

Bergoglio tira in ballo la comunità internazionale. Parla di vergognosa incapacità nel fare tacere le armi e di mettere fine alla guerra. Lo vediamo tutti quanti. Ci indigniamo davanti a questa inerzia, ai battibecchi tra potenti della terra, ai rimpalli di responsabilità tra chi accusa e chi ribatte con la stessa moneta. A rimetterci è la povera gente sotto le bombe che giungono dal cielo e da terra. Sulla Stampa di lunedì 7 ottobre la psicologa israeliana Ayelet Gundar-Goshen ha notato, con non poca amarezza, che «il dolore dei gazawi è invisibile agli occhi degli israeliani. Il dolore degli israeliani è invisibile agli occhi dei gazawi».

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, su Avvenire di martedì scorso ha indicato una via per uscire da questa impasse: «cercare di comprendere l’altrui sofferenza».

Occorre rovesciare la prospettiva, smetterla di lasciarsi accecare dal dolore e dai torti subiti. L’unica proposta praticabile è quella dell’ascolto, del dialogo, dell’incontro. Guardarsi negli occhi e cercare di capire le ragioni degli altri.

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