Don Giovanni Minzoni educatore dei giovani
Il vicepostulatore della causa di beatificazione traccia un ritratto del sacerdote ucciso dai fascisti
Sono 100 gli anni che abbiamo contato dall’omicidio di don Giovanni Minzoni.
Di lui si cominciò a parlare subito come di un martire e di un educatore.
Ma don Minzoni non ha mai scritto un libro di pedagogia e neppure, nei suoi diari (1909-1919) o nei suoi scritti, ci lascia espressa in modo sistematico la sua idea di educazione.
Eppure, leggendoli, possiamo trovare la sua “pedagogia implicita” alla quale si ispirava, o meglio, che viveva con quell’intuizione educativa che nasce dalla passione per i giovani, per la loro crescita in umanità e santità.
È un periodo storico difficile quello in cui don Minzoni vive. Il regime che si instaura in Italia, e non solo, punta a formare persone tutte uguali, con lo stesso pensiero e la stessa passione: non sono ammessi sentieri diversi. In questo contesto don Minzoni si mette a studiare ciascuno dei suoi ragazzi per conoscerne il cuore, così come ha imparato a fare da don Bosco. Scrive il 10 aprile del 1910: «vado studiando il carattere dei miei fanciulli, mi si affezionano, mi corrono dietro in strada, mi vengono ad importunare in stanza». Conoscere la persona, i singoli, non la massa. Educare le coscienze dei singoli perché siano forti, rispettandoli anche se scelgono un cammino diverso. Don Minzoni sa che dentro ogni persona vi è una «molteplicità di forze più o meno violente, più o meno concordi», e per farle maturare occorre proporre una idea-ordine che tutte le concentri. Ma l’ordine di don Minzoni non è quello fascista! Per lui «ordine vuol dire ‘in avanti’, o meglio è la strada migliore e più retta del progresso morale». Per lui non esiste progresso della società se non progredisce la persona singola. Non è di questa idea il regime dominante, e questo farà fastidio ai potenti del tempo: gliela faranno pagare. Don Minzoni ha in mente un modello di uomo, della sua perfezione. Scrive nel suo diario il 15 novembre del 1909: «la perfezione dell’uomo sta nell’avvicinarsi a Dio». E qui si svela l’anima del sacerdote don Minzoni. È profeta, come ogni vero educatore. Guardandosi intorno e prevedendo l’immediato futuro che inbriglierà la natura del singolo con la violenza , dice: «verrà giorno che la natura non educata, ma repressa, si ribellerà» (21 marzo 1913).
Don Giovanni non era il padrone dei suoi giovani: era un amico sincero. Non perde tempo in discussioni, ma mira a suscitare il bisogno di significato nei suoi ragazzi. Chi educa sa che questa è la sfida anche oggi: lo era anche al tempo di don Minzoni. Lo scrive sul suo diario nel novembre del 1909: «è molto più profittevole destare nei giovani il bisogno di una coscienza, di una norma di vita (piuttosto) di quello di discutere dei problemi più ardui della vita: sarebbe come porgere ad un ammalato, nauseato del cibo, le più squisite pietanze».
La parola d’ordine è «formare l’uomo». È consapevole che «la società moderna non piange il bisogno di scienziati, ma di uomini».
Coscienze libere, dedite alla verità, persone che usano la loro testa e difendono i diritti fondamentali, che trovano in Gesù e nella Chiesa la verità che rende liberi.
Per portare a sviluppo queste intuizioni e dare asi suoi giovani una struttura che sostenga la loro formazione fonda gli scout ad Argenta, istituendo un reparto esploratori. L’idea scoutistica di educazione per fare libere le persone, l’amore alla patria senza il diktat di combattere, la religione come insieme di valori che permeano l’esistenza, in una parola la formazione di una coscienza libera, di cittadini e credenti non assoggettati al potere, sono i suoi principi educativi.I giovani ai suoi tempi non erano diversi dai nostri. Scrive nel novembre del 1909: «Parlare con la nostra gioventù oggi è cosa veramente rattristante. Essa ha un’anima scettica, è insensibile ad ogni idealità: rassomiglia ad una primavera senza fiori».
A questa primavera si dedica, perché fiorisca.
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