Valle Savio
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Capannoni distrutti e attività ferme

"Chiediamo considerazione, chiarezza e dignità per il futuro degli allevamenti in Valle del Savio"

L'imprenditore agricolo Lucio Caselli è titolare di aziende avicole e bovine a Bagno di Romagna, Sarsina, Civitella e Santa Sofia. Le sue considerazioni a un anno dall'alluvione che ha provocato tante frane nella bassa e media montagna

il capannone a Santa Sofia danneggiato dallo slittamento del terreno che ne ha spezzato le colonne

Per non essere dimenticati. Per non essere lasciati soli. Per soluzioni dignitose. Un pensiero fisso di ogni mattina appena sveglio: “Cosa posso fare per sistemare i capannoni?”. Sono espressioni di “un imprenditore abituato a cercare soluzioni e dare risposte. E oggi più che mai, cerca chiarezzaLucio Caselli, imprenditore agricolo nato e cresciuto a Ranchio di Sarsina e oggi residente a Cesena. È della sua famiglia – del suo babbo prima, e oggi sua insieme al fratello Stefano – l’azienda di 600 ettari con attività di allevamento bovino e avicolo distribuita tra i territori di Civitella, Santa Sofia, Sarsina e Bagno di Romagna. In totale, 10.400 metri quadrati di allevamenti e strutture dedicate ai foraggi e alle attrezzature. Un’azienda devastata dagli eventi alluvionali che un anno fa hanno colpito duro la bassa e media montagna, provocando frane e smottamenti.

L’azienda agricola “Pian delle Vigne” a Santa Sofia è la più danneggiata: “Il sito su cui erano costruiti i capannoni è slittato. Il terreno è franato, spostando le fondamenta. La struttura ha tenuto, con il risultato che per 4-5 giorni dopo il 16 maggio dell’anno scorso si sentivano tonfi secchi come fossero dei colpi di pistola: era il cemento armato che esplodeva, finendo per spezzare le colonne. L’altra struttura è apparentemente intatta, ma tutta l’area è stata messa sotto sequestro dai Vigili del Fuoco”, dice Caselli. All’interno vi erano 90mila pulcini ‘accasati’ da un giorno. Sono poi stati spostati. Tre i dipendenti dell’azienda, oltre ai soci. “I dipendenti ci hanno commosso - specifica Caselli – hanno capito subito la gravità della situazione e si sono prodigati per quello che era possibile fare. Sono ancora con noi, fanno parte della famiglia. Mantenere i dipendenti è stato il primo pensiero. Sarebbe stato un colpo al cuore troppo grande. Ma ce lo possiamo permettere”.

Ora, è possibile ricostruire in loco? “Il geologo Antolini a cui ci siamo rivolti si è espresso con dubbio – le parole di Caselli -. Occorre fare dei carotaggi per capire il movimento della frana. Intervento oneroso, ero già partito per proseguire. Ma funzionari vicini al generale Figliuolo mi hanno invitato ad attendere in quanto sono state create delle strutture commissariali che, studiando la morfologia del territorio colpito da alluvione, sono incaricate di definire dove possibile o meno ricostruire. Nel decreto Figliuolo, l’unica opzione prevista per poter beneficiare di un risarcimento del dolo, è l’obbligo alla ricostruzione. E dove non è possibile ricostruire, occorre intraprendere un percorso di individuazione di un nuovo sito e poi chiedere al Comune, lo stesso dove era l’azienda in precedenza. Mi hanno suggerito di attendere, ma attendi attendi… a un anno, non succede nulla”.

Caselli ha frequentato diversi incontri promossi dai comitati: “E d’altronde, quando manca un anello, quando si crea un vuoto, viene naturalmente riempito con i comitati. Cosa stanno facendo le amministrazioni a supporto di chi ha avuto perdite? A che punto è il confronto o perlomeno il loro prodigarsi. Sono domande lecite” è uno dei pensieri ricorrenti.

“Ho chiesto anche di poter contemplare l’acquisto di un’altra area con stesso indirizzo produttivo, per ricompattare l’azienda – prosegue Caselli -. Il pensiero di poter abbreviare le tempistiche, legate a una ricostruzione strutturale, magari delocalizzata, sorge spontaneo. La risposta deve arrivare, e voglio essere fiducioso. Potrebbe essere una valida possibilità: così si abbreviano i tempi e non si rischia di rimanere con il cerino in mano. Poi, su quanto lo Stato ci può aiutare per acquistare un’azienda, resta un punto interrogativo. Ogni volta che mi sono buttato in un’impresa, ho calcolato costi e benefit. Ma così è durissima”.

Caselli allarga lo sguardo dalla propria azienda e si fa portavoce di stati d’animo di tanti: “Conosco altre situazioni analoghe sul territorio di Civitella. Sono e siamo del tutto fermi”.

Chiediamo considerazione – prosegue Caselli -. Vorrei che mi venisse detto, anche con una presa di coraggio e realismo: ‘Capiamo, ma per tanti motivi non riusciamo o non possiamo fare di più. Ma non temete: siamo al vostro fianco in difesa delle attività produttive del territorio’. Ecco, questo manca e lascia un po’ di sconcerto”.

“Molte aziende non avevano e forse non avranno più possibilità di accesso ai loro campi; il territorio era come bombardato, tante le strade inesistenti. Allevamenti bovini hanno chiuso le stalle perché si sono resi conto che i tempi di ripristino e di intervento sarebbero stati lunghi e onerosi. C’è uno scoramento importante da parte degli imprenditori del territorio di montagna, che è quello più penalizzato. La montagna ha subito uno shock importante – sottolinea -. Abbiamo risistemato tutta la viabilità interna della nostra azienda (600 ettari) e i prati-pascoli invasi dalle frane. Per ora tutto è stato fatto a nostro carico”.

Una volta di più “la gente di montagna ha dimostrato carattere e generosità – conclude Caselli -. Qui gli imprenditori hanno difeso con le mani e con i piedi la loro attività. C’è stato uno slancio di solidarietà che ci ha fatto sentire comunità coesa. Se si vogliono mantenere le persone sul territorio, occorre ripristinarne le condizioni. In montagna non sono poi tante le attività agricole che si possono fare, e sono un presidio importante per la tutela e la salvaguardia. Aspettiamo proposte dignitose per la gente di montagna e per il futuro del territorio. Consapevoli del cambio di prospettiva che un evento così inevitabilmente comporta”.

allevamento Santa Sofia 2
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