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piccoli gioielli del territorio

Il santuario romanico di Santa Maria in Montegiusto (Verghereto)

L’ultimo parroco che andò a celebrare Messa per circa trent’anni la domenica a Montegiusto fu don Giovanni Babini di Pereto. Nel 2008 una coppia di Ravenna, in cerca di mulini ad acqua, per caso approda in una camminata a Montegiusto e qui rimane folgorata dalla particolarità e sacralità del luogo

Montegiusto in una foto del 1969

Fin da quando vi andai la prima volta, a 11 anni di età, preso dalla voglia di conoscere e visitare tutte le chiese della Diocesi, rimasi colpito dalla particolarità di questo luogo e di questi ruderi. Anche per questa chiesa, come per altre nella zona non esiste bibliografia, non sono mai stati pubblicati articoli se non in passato dal sottoscritto. Per anni ho cercato e cerco notizie su questo ameno santuario; potrei dire che visitarlo periodicamente mi ha accompagnato lungo decenni di vita, andandovi nelle vacanze dal seminario, portandoci persone in visita. E constatando come, a malincuore, in ogni visita trovavo peggioramenti, crolli, furti.

Sto parlando del poetico e mirabile santuario romanico di Santa Maria in Montegiusto (comune di Verghereto), purtroppo rimasto abbandonato da oltre 50 anni. Un luogo dove si avverte qualcosa di particolare, un luogo dove l’anima si sente in pace, cullata dallo scorrere del sottostante fiume Para e dai suoni degli animali selvatici che lì vi si trovano. Un luogo misterioso, capace di destare emozioni particolari. Una chiesa che non è mai stata parrocchia, ma ha sempre fatto funzione di parrocchia. Una questione che nei secoli ha sempre fatto discutere, nel 1906 venne addirittura stampato un fascicoletto dove il parroco di allora esponeva la delicata questione. Il Santuario faceva parte della parrocchia di Monteriolo il quale parroco aveva l’obbligo di mantenere un cappellano residente a Montegiusto, che anche se non era parrocchia aveva appositi timbri e registri, oltre che il cimitero.

Sono convinto che la statuetta della Madonna, che qui vi era contenuta, rappresenti la continuazione – una continuazione antichissima – di un culto in questo remoto sito, trasformato in cristiano circa nell’VIII secolo, dedicato alla Madre di Dio, da uno più antico pagano risalente a non si può dire a quale epoca. Il primo documento che ci parla di Montegiusto è datato 1027. Il culto sembra fosse dedicato ad una divinità dell’acqua, forse per la sottostante presenza del fiume.

Questa statuetta della Madonna, rarissimo simulacro ligneo romanico, di epoca da situare intorno al Mille, mille e cento, è una dei pochi esemplari conosciuti. In Romagna non ne esiste nessuna nelle chiese, ne esisteva e non so se esiste più un esemplare privato presso una abitazione a Modigliana ma chissà da dove venisse. Al contrario, per Madonne dipinte si va – per quanto si conosce in Italia e in Medio Oriente – molto più indietro, arrivando anche al V secolo, a prescindere dalle pitture delle catacombe, dai mosaici, dai marmi. La statuetta lungo il ‘700, si era deteriorata e non era più presentabile, poi è stata vestita e il bambino venne spostato nel fianco. Il fatto che originariamente non fosse  vestita ce lo conferma un resoconto, ora conservato all’archivio diocesano di Cesena, della visita Pastorale del 15 agosto 1649, dove si dice che “l'altare è posto in mezzo di una tribuna in mezzo della quale è una immagine della Santa Maria Vergine col S.mo bambino in braccio molto vetusta, quale è di legno inverniciato et dipinta de colori naturali, col piede stallo simile. Ha il regno in testa, come anco il bambino ha il regno in testa. Sta posta in una nicchia, si tiene coperta con panno di drappo bianco”. Nella visita pastorale del 1709 si parla di una Madonna che porta in braccio il Bambino, mentre nel 1789 si parla di una Madonna vestita. Per vestire la statua il bambino venne apposto sul lato, non più in braccio: questa operazione avvenne quindi nel corso del 1700: dopo il 1709 e prima del 1798. Quando nel 2012 venne fatto il restauro, di cui possediamo le foto delle varie fasi, il corpo ligneo della Madonna era spaccato alla base; venne integrato e vennero tolti i vestiti. Operazione che creò diversi malumori nei parrocchiani perché la statua appariva differente da come a memoria d’uomo si era sempre vista: specialmente per il fatto dei vestiti.

Ma non vogliamo in questo scritto ricordare e riaccendere questioni che il tempo ha smorzato. Tutto fa parte della storia. 

In tanti, negli anni, mi hanno raccontato delle stupende feste che vi si svolgevano, le più partecipate in zona e chi vi partecipava le ricorda con meraviglia: la gente veniva da tutte le parti, a centinaia specialmente alla festa di metà agosto, portando il pranzo che dopo la messa veniva consumato a gruppi sul prato, all’ombra dell’immensa quercia ancora esistente. Nel pomeriggio si teneva la “Benedizione” seguita dalla processione, che scendeva nel piccolo campo sottostante e poi risaliva. Per l’occasione, nel fianco della chiesa opposto al porticato, arrivava la Gesualda da Selvapiana con la piccola bancarella a vendere le caramelle.

I parrocchiani da sempre mi avevano raccontato della processione nella cui occasione venne abbandonato il santuario, rimasto in zona deserta e difficilmente raggiungibile per la forte pendenza, ma nessuno aveva notizie circa il momento in cui questo spostamento venne fatto.

Nel 2011 trovai la fotografia dove si ammirava un fotogramma della processione in cui la Madonna veniva asportata e già diverse volte dal sottoscritto pubblicata. L’ultimo parroco che andò a celebrare Messa per circa trent’anni la domenica a Montegiusto fu don Giovanni Babini di Pereto, che vi andò fintanto nelle vicinanze della chiesa ci abitavano famiglie. Poi la zona rimase deserta e nel 1962 gli subentrò don Paolo Raggi che iniziò a celebrare la Messa domenicale nel sacrario dei Caduti presso Tavolicci, dove oramai la popolazione abitava. Ma per alcuni anni si continuò ad andare a Santa Maria solamente due volte l’anno, in occasioni della festa della prima domenica di maggio e del 15 agosto, e questo fino al 1967.

Nel 2013, avendo avuto in dono libri e documenti dai parenti di don Paolo Raggi, fino al 1969 parroco di Pagno e Tavolicci e morto nel 1995 dopo aver svolto decenni in Missione in Kenya, mi trovai tra le mani alcune lettere del sacerdote in cui motivava l’asportazione della piccola antichissima statua. In questi fogli dattiloscritti, don Paolo motiva la decisione di asportare la Statua da Montegiusto: “Constatato che: le due feste annuali a Montegiusto costano sacrifici inauditi ai priori della festa che devono riparare la strada, impiegare delle giornate per pulire chiesa e locali annessi, e portare a schiena d’asino tutto l’occorrente per il pranzo, cui partecipano di solito dalle dieci alle venti persone; che dalle parrocchie site oltre la Para non viene oramai più nessuno, compresi i sacerdoti; che dalle altre parrocchie confinanti, per es. Monteriolo i fedeli raggiungono con gravissima difficoltà Santa Maria con i bambini in braccio, a piedi, mentre ormai a piedi non va più nessuno, e invece numerosissimi verrebbero, per le facili comunicazioni, a Tavolicci; che la statua della Madonna viene talvolta manomessa dai roditori: è stato stabilito che la Statua della Madonna, oggetto di tanta venerazione da parte dei fedeli, venga trasportata a Tavolicci. Si partirà processionalmente l’8 dicembre 1967 alle 9.30 da Montegiusto, con la fiducia che la stagione sia clemente, per arrivare a Tavolicci alle 10.30 per la messa”. E in un altro foglio dattiloscritto, del 9 dicembre ’67, c’è il resoconto della giornata: “Il gruppo di fedeli, in arrivo a S. Maria, è stato accolto dal suono dell’antica campana, prelevando poi la venerata immagine, ha formato una bella processione, che si è snodata per oltre un’ora per sentieri impervii e scoscesi, tra boschi e tratti ora cespugliosi ora pietrosi. Ognuna delle dieci poste del Rosario era alternata da un inno alla Vergine; si susseguivano, talvolta, brevi pause di silenzio e soste forzate nella faticosa marcia. Non mancava il fotografo a riprendere le scene più salienti. A Tavolicci, nella chiesa gremita di gente, ha avuto luogo la S. Messa. L’entusiasmo, la fede genuina, l’amore fraterno e lo spirito di sacrificio della nostra buona gente, rimasta ancora in montagna, hanno caratterizzato la suggestiva cerimonia, che resterà indelebile nel cuore di tutti”. 

La parte più interessante ed antica dell’edificio è certamente l’abside contenenti vari pezzi di sasso spugna, orientato, con stupenda monofora centrale, il tutto coperto da lastre. Questo resta intatto ancor oggi. Nel corso del 1500 la chiesa venne un po’ allungata attaccandola alla vicina canonica, spostando la porta d’ingresso lateralmente e costruendo un bellissimo portico a 4 arcate per accogliere i pellegrini, specialmente nelle giornate di festa disturbate dalla pioggia. Il bellissimo portale in pietra, di gusto toscano del 1500, venne lasciato sul posto dopo l’abbandono e venne asportato da ignoti, visto il peso con l’aiuto di mezzi meccanici, nel 2002. Ebbi modo di vederlo e per fortuna, anche se giovane nel periodo delle scuole medie, ebbi l’accortezza di fotografarlo. Se lo dovessi vedere in giro lo riconoscerei subito. Al Museo di Sarsina si ammira una piccola campana del ‘700 e una croce astile in metallo, robusta, del 1400 proveniente da Montegiusto. Durante la processione ricordata, insieme alla Madonna vennero prelevati i due lampioncini caratteristici e la croce astile in legno, ancora oggi in uso nella nuova chiesa.

Giù a Santa Maria, come chiamata dagli abitanti della zona, la Madonnina era alloggiata in una ancona di legno intagliato, si dice realizzata dallo stesso parroco nel corso del 1500. Questa ancona è un pezzo pregevolissimo e rarissimo, seppur di fattura popolare e locale, come del resto era ogni cosa a Montegiusto.

Nel corso del 1968 l’ancona, le tele anneritissime che non vennero esaminate nel 1964 dall’ispettore delle Belle Arti causa l’altezza da terra (da un inventario  sappiamo che raffiguravano una Sant’Antonio da Padova e l’altra la Madonna con Santi), un calice, un mobile da sacrestia, i candelieri e i portapalme, la pianete, il particolarissimo lampadario in ferro vennero portati in un casolare a Casalino e depositati fino al 1976. Restano alcune foto del 1973 effettuate dalla Sovrintendenza dove si vede il materiale accatastato, in parte infradiciato e con la presenza di piccioni, con il particolarissimo lampadario in ferro, la campana e l’ancona smontata. Si dice che questa stanza rimase aperta e alcune cose sparirono, difficile sapere che cosa era stato portato su in salvo e venne purtroppo perduto dopo. Il parroco don Vittorio Morosi scrive che nel 1976 prelevò le cose utilizzabili portandole nel sacrario dei Caduti, come la preziosa ancona cinquecentesca, due lampadarietti in ferro battuto a 7 luci che si trovano ancora lì, la campana, e quello che ancora non si era marcito lo portò a San Martino dove abitava, potendo sorvegliare meglio. Nel 1996 costruendo la nuova chiesetta avvenne un altro spostamento: l’ancona venne portata giù insieme alla statua della Madonna, che ora qui sembra abbia trovato definitiva pace. La statua era adornata da tanti “ori”, da catenine e fedi donate dai fedeli, rubate nel 2006. Nel 2008 una coppia di Ravenna, in cerca di mulini ad acqua, per caso approda in una camminata a Montegiusto e qui rimane folgorata (un po’ come capitato a me!) dalla particolarità e sacralità del luogo. Bussa allora alla porta della Curia chiedendo di poter comprare la chiesa, ma non se ne conosceva l’esistenza: si pensava volessero acquistare la nuova chiesa costruita pochi anni prima! Comprato il grande podere e i ruderi della chiesa, Massimo e Anna hanno iniziato le pratiche per i lavori di ricostruzione volendo fissare lì la loro dimora e prendendo in affitto una casetta nelle vicinanze per poterci abitare nel frattempo. Hanno già avviato da anni le coltivazioni, in particolare del grano monococco.

Ora a Montegiusto producono cereali, legumi, verdura, frutta e vino principalmente per il consumo della loro famiglia. A seconda delle annate possono avere anche disponibilità per la vendita, che effettuano direttamente a privati, rispondendo alla mail montegiusto@gmail.com.

La vita di Montegiusto continua, con gente che, al contrario di quelli che sono partiti per la città in cerca di una vita meno dura, dalla città sono tornati a cercare la vita semplice in mezzo al silenzio.  

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