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Il professor Donati ieri sera alla Scuola di dottrina sociale: "Famiglia prima fonte di vita buona"

Nessuno può sostituire il compito svolto dalla famiglia, ha detto il noto sociologo alla quarta lezione svoltasi in seminario

Nella foto, il professor Pierpaolo Donati durante la lezione tenuta ieri sera in seminario

Doveva essere la prima delle lezioni programmate, slittata poi per motivi d’agenda e stasera si è ben compreso il perché. “Nessuno può fare quello che fa la famiglia – ha asserito con convinzione Pierpaolo Donati, sociologo di caratura internazionale e professore presso l’Università di Bologna – e stasera ne comprenderemo i motivi. Non sulla base di una costruzione culturale, bensì di una eredità storica e di una evidenza scientifica”. Una relazione che non si è imposta solo per l’urgenza di recuperare, seppur con fatica, un modello famigliare al quale tendere, quanto piuttosto di riscoprire la sorgente di ogni germe di bene: relazionale, generativo e sociale. “Se indaghiamo il livello di soddisfazione degli italiani – ha affermato Donati commentando i dati Istat - la voce che riceve più consensi non è la condizione economica (circa 59 per cento) e nemmeno il lavoro (attorno al 77 per cento), ma proprio la famiglia con una soddisfazione pari al 90 per cento”. Un dato che stride se si pensa alla narrazione dominante che propone sempre più episodi di separazioni, conflitti o violenze domestiche.

Per comprendere questa controtendenza è necessario allora prendere coscienza delle minacce che la feriscono. “Tentativi di distruggere la famiglia, nel corso della storia, sono sempre esistiti, dall’idea repubblicana platonica, fino ad arrivare ai kibbutz israeliani, passando per lo statalismo etico sovietico. Oggi i drammi che la affliggono sono per lo più di tre tipi: l’alimentarsi della cultura del dubbio e del sospetto, la critica alla differenza uomo e donna oltre che al maschile e al femminile ed infine la negazione della famiglia stessa come soggetto sociale”. Un concorso di colpa che trova sia nel Mercato che nello Stato i suoi complici, diventando anch’essi operatori di quella mercificazione e privatizzazione che ne indebolisce tutta la struttura. “Come non accorgersi – ha incalzato Donati – di questi pericoli quando lo Stato vuole sottrarre alla famiglia le competenze educative che le spettano? Come pretendere che si concili la vita familiare con quella lavorativa, quando i ritmi produttivi costringono i genitori a orari di lavoro incompatibili con la cura delle relazioni e dei figli? O quando i sistemi giuridici e di welfare esaltano i diritti dell’individuo, ignorando la solidarietà famigliare?” E tira in ballo il reddito di cittadinanza come drammatico esempio di una visione che “anziché tendere al sostegno della famiglia come soggetto indipendente, si rivolge all’individuo” amplificando la sua singolarità. “In Italia purtroppo non si pensa mai alla famiglia come ad un insieme. Non ragioniamo per relazioni, ma per individui” ha affermato con amarezza. Che fare dunque per risollevare questo orizzonte di povertà sociale? La risposta trova le sue radici nella cultura della relazione. “Se non comprendiamo che la famiglia è un bene relazionale non ne usciamo vincitori. Lo dico ancora: il segreto è la relazione” ha puntualizzato con decisione “e questo è ancor più vero quando si parla dei figli. Essi crescono in base alla relazione dei genitori. Non gli interessa quello che gli dicono il babbo o la mamma. I genitori possono essere delle brave persone, ma i figli vogliono vedere quella relazione, crescere nella relazione, altrimenti non potranno essere davvero felici”. Una possibilità efficace anche al di fuori della dualità maschile e femminile? Il sociologo sgombra il campo da ogni dubbio: “non c’è nessun’altra forma associativa che possa svolgere la funzione della famiglia.

La stessa cosa vale per la relazione eterosessuale che non può essere assimilata a quella omosessuale. Questo è vero perché il bi-morfismo sessuale è fondamentale per lo sviluppo del pensiero umano: i codici simbolici maschile e femminile sono alla base del funzionamento del nostro pensiero. Lo dice molto bene l’antropologia, oltre che la conferma delle ricerche empiriche (vedi Mark Regnerus, How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study, in “Social Science Reaserch” vol. 41, July 2012). Inoltre c’è differenza tra la coppia aggregativa dello stesso sesso e quella generativa eterosessuale: la prima si colloca su di una prospettiva orizzontale, la seconda invece ha uno sguardo verticale capace di generare nuova vita a partire dalla propria potenzialità”. Una comprensione possibile attraverso la prospettiva ontologica del genoma sociale della famiglia: “come per le cellule o per gli atomi sono necessari strumenti adatti alla loro conoscenza, così per la famiglia si possono comprendere le specifiche peculiarità attraverso quattro fattori costitutivi quali il dono, la reciprocità, la sessualità coniugale e la generatività”. Se la famiglia è così vitale come mai allora si è abdicato alla sua educazione e promozione, si sono domandati i presenti? “Per due motivi: il primo perché in Italia l’articolo 29 della Costituzione è disapplicato. Solo la provincia di Trento ha compiuto vere politiche family friendly che sarebbero da esportare a livello nazionale. Secondo perché anche come Chiesa abbiamo delle lacune e delle responsabilità non ottemperate a partire dai corsi per fidanzati”. “Bisognerebbe dire a chi si sposa – conclude – di non compiere il passo perché innamorati dell’amore, ma per il bene della relazione e dei frutti che ne deriveranno. Infatti come insegnava Benedetto XVI nella Deus caritas est l’amore non è un sentimento, bensì una relazione”.

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