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I nostri ragazzi, sempre a digitare ma anche "generazione silenziosa"

Nascosti dietro la trincea digitale, manteniamo rapporti costanti con persone che non sentiamo in presa diretta da una vita e, quando le chiamiamo, facciamo precedere la telefonata da un messaggio affinché si preparino allo choc

Immagine da Bing Image Creator

«Non telefona più nessuno». Qualche giorno fa, commentando la notizia di un caso di cronaca, Massimo Gramellini titolava così il suo “caffè” quotidiano sulla prima pagina del Corriere della Sera.

La vicenda a cui si riferiva il giornalista era quella di una donna la cui scomparsa improvvisa – si era licenziata dal lavoro con un’email – non aveva suscitato in nessuno dei suoi amici e colleghi il bisogno di chiamarla per sentire dalla sua voce come stesse. Le arrivavano solo dei messaggi sullo smartphone ai quali rispondeva il marito che, dopo aver ucciso la donna, si era appropriato del telefono.

«Si è proprio persa l’abitudine – scriveva Gramellini –. Nascosti dietro la trincea digitale, manteniamo rapporti costanti con persone che non sentiamo in presa diretta da una vita e, quando le chiamiamo, facciamo precedere la telefonata da un messaggio affinché si preparino allo choc ».

Si potrebbero prendere queste righe con la leggerezza che caratterizza l’ironica penna del giornalista, se non fosse che, all’inizio di maggio, il Times ha pubblicato l’esito di un sondaggio secondo il quale quasi il 70 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni detesta le conversazioni telefoniche e va in ansia al solo pensiero di rispondere. Uno su quattro, infatti, non lo fa proprio: lascia squillare l’apparecchio e si limita a interagire per mezzo di messaggi o note vocali.

«Il problema è quello del contatto, anche se soltanto telefonico », commenta lo psicoanalista Massimo Ammaniti.

I ragazzi usano lo smartphone per chattare, condividere video e altri contenuti, non per parlare.

«La fobia del contatto porta il ragazzo a chiudersi in camera, a non voler più uscire, a delimitare e circoscrivere i rapporti con gli altri», prosegue l’esperto, di cui è da poco in libreria l’ultima pubblicazione: “I paradossi degli adolescenti”.

Nel paese del Sol levante la situazione sembra ancora più grave, tanto che da tempo ormai i ricercatori giapponesi hanno ribattezzato la fascia d’età fra i 20 e i 30 anni “ muon sedai”, ovvero la “generazione silenziosa”.

I paradossi di cui parla Ammaniti sono anche questi: i giovani oggi hanno maggiore libertà, possono spostarsi, comunicare, anticipare le prime esperienze “da grandi”. Il tutto sotto lo sguardo di genitori ed educatori, sempre più in difficoltà a dare delle regole e a farle rispettare.

Ciononostante, o forse proprio per questo, molti dei nostri ragazzi vivono un disagio di fondo. «Avere troppe opportunità non li aiuta, anzi, perché pone loro troppi interrogativi».

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